I tergicristalli scandiscono il tempo come un fastidioso orologio nel bel mezzo del silenzio della notte. Là fuori la Brianza è deserta e grigia come può esserlo soltanto la domenica mattina, con i suoi occhi lacrimosi dell’inverno che cerca di annegare tutto e invece tutto continua a galleggiare. Sbaglio strada, con la testa sono altrove. I tergicristalli adesso sono muti come per un inutile miracolo ma fuori continua a scendere la pioggia e quando vedo il lago verde attorno al quale girano le fettucce del percorso penso che forse sarei dovuta restare a casa. Eppure questo è quasi lo stesso odore del Belgio, il fritto che si mischia alla mostarda, al fumo delle griglie, all’umido, al fango denso e liscio. Mi sento fuori posto. Guardo le nuvole di acqua e vapore che salgono dai box, la gente che lava le biciclette con addosso le tute bianche da CSI come strani investigatori sul luogo del delitto: in realtà non sapranno mai che cosa ci ha squarciato il cuore per sempre, le coltellate che nessuno ha visto solo perché non c’era sangue.
Cola il fango sulle gambe, esattamente come le ferite aperte, lucido che se uno ci passa il dito gli viene da piangere. Piangere dal dolore, per un dolore che neanche ci meritiamo. Il ciclocross può essere strano ma se te ne innamori, allora è quel tipo di amore primordiale che ti spezza a metà, affamato come un lupo nella notte.
C’è silenzio.
Ma noi lo sappiamo che non si placa la fame, non si placa mai.
La pioggia impasta la terra, le ruote fanno solchi come cicatrici scure: non puoi mettere il maledetto piede a terra o rischi di affondare e non muoverti più. Quante volte hai imprecato tra i denti, qui? Quante volte hai avuto freddo mentre ti versavano il te bollente sulle gambe o mentre il tuo torace nudo fumava di sudore nei pomeriggi d’inverno? Quante volte hai pensato che il dolore non fosse abbastanza?
Adesso il dolore è abbastanza.
Guardo la gente che corre di qua e di là, i nomi urlati che si perdono verso il bosco. Uno si chiede: “ma dove cazzo corrono questi?” eppure la risposta non è così difficile se penso alle poche cose che sappiamo sulla soglia della fatica. Una, per esempio, è quella che quando sei in bicicletta sei praticamente irraggiungibile, un posto dove neanche il 5g ti può scovare, un posto tra la beatitudine e l’inferno del quale solo tu hai la chiave. Di contro, c’è lo spazio per un piccolissimo miracolo: riesci a sentire esattamente la voce della quale hai bisogno.
Ecco perché qui tutti urlano e tutti corrono, loro lo sanno che cosa può farti volare: è sempre così che fanno quelli che ti amano.
Entro con le ruote in una pozzanghera enorme, si alza un’onda tipo tzunami e per un secondo, solo un per un secondo, la macchina perde il controllo e anche la testa. Subito mi ricordo:
“Posso girare la macchina qui?”
“Sì”
Posso girare, fare un drift, andare a centoventi all’ora sulla luna. Qualsiasi cosa. Ma qua non c’è nessuno che mi dice di sì, non ci sono spartitraffico da scavalcare e là fuori le luci delle automobili diventano larghe chiazze imprecise contro le gocce di pioggia che si allargano contro il vetro.
Questa è solo una stupida domenica.
Qua non ci sono cose pazze da fare.