Il profumo intenso del rosmarino selvatico sale dalle schiene rocciose dove si arrampicano le agavi, le mimose, le foglie larghe e piene di spine dei fichi d’india. Lontano dal mare e dai suoi vicoli stretti dove si mischia l’odore di fritto misto a quello della focaccia, la Liguria ha il respiro aspro dell’entroterra orfano delle cicale in questo pomeriggio dove le nuvole sono arrivate con uno schiocco di dita, come fanno sempre qui: il sole e poi un temporale improvviso e poi di nuovo il sole. Stanno costruendo una piccola villetta bianca che guarda la conca dove si adagia Laigueglia con i suoi due campanili: ha un balconcino con le colonnine bianche, nessuna entrata, nessuna strada, come se si dovesse arrivare lì volando.
L’elicottero è sopra la salita come un gabbiano qualsiasi. Per la prima volta non mi è mancato niente. Tutto è in silenzio come se le cose non avessero più un significato reale.
Il mare è grigio, la corsa sale tra la ola della gente sparsa sulla salita. Le grida arrivano ovattate come quando sei dietro un vetro, come su un’astronave, come quando nevica.

Giulio Ciccone attacca negli ultimi cinque chilometri. Un attacco secco: prima i pini marittimi e poi d’improvviso l’Aurelia e tutto il mare accanto che scorre tra un pilone e l’altro della galleria. La luce, il buio, la luce, il buio, la luce. Quattordici secondi e poi sedici. La gente si chiede sempre cosa cazzo pensa uno quando attacca.
Lui guarda la telecamera e urla:
Mamma!
E le manda un bacio. Lo sa che sta seguendo la diretta da casa, è da un pezzo che vuole vincere così, per dirle che è stata lei ad ispirarlo in questi mesi in cui stavano combattendo per vincere una corsa tutta loro.  E’ a questo che pensava, ad ogni benedetto attacco, a quanto si è forti quando hai dalla tua parte le persone giuste. Ancora più in fondo, Cicco, ancora più piegato su quella strada a tornanti sul mare, a picco come un pezzo di cuore franato giù. Assurdo, nell’esatto momento in cui vorresti solo imprecare, ti viene da pensare all’abbraccio in cui ti rifugiavi da bambino quando la tua vittoria se l’era presa qualcun altro. Com’era essere fragili e indifesi e poi protetti?
Si toglie gli occhiali, li lancia come se fossero un giavellotto, un gesto atletico sopra il gesto atletico, due secondi prima della linea bianca e poi vaffanculo alla tattica, alla forma e a qualsiasi altra cosa. E’ per la mia mamma, dice ancora prima che torni su il fiato dopo lo sforzo, gliel’avevo promesso.
Sono le radici che danno linfa all’albero.

La gente sciama verso i suoi normali lunedì mentre la sera scende sul mare. Gli occhiali di Cicco sono finiti chissà dove. Qualcuno li avrà raccolti e li avrà portati a casa come un cimelio, perché il ricordo nel ciclismo è tutto. Penso a Marco che aveva gettato via un orecchino di diamanti prima di attaccare in una tappa di montagna. Lui lo sapeva cosa contava davvero.
Fuori piove sull’autostrada buia e Genova è laggiù avvolta da una nebbia spettrale. Mi ricorda quando sogno di sfondare il guard-rail a cento all’ora e cadere nel vuoto. Un volo immenso durante il quale non capisco se sento più la paura o l’adrenalina.
Gli incubi fluttuano di nuovo assieme alla pioggia sottile come stelle.

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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