Dicono che quando ti amputano un braccio o una gamba, può succedere una cosa surreale: a distanza di tempo, può capitare di sentire dolore esattamente dove l’arto non c’è più. Sentire il sangue pulsare nel vuoto, come se la gamba o il braccio fosse ancora parte di te.
Piazza del Campo è deserta come non l’ho mai vista, i piccioni volano basso, la torre svetta solitaria nel cielo che è il solito cielo di Siena, azzurro con le nuvole acquerellate sopra, in continuo mutamento come in una vasca di pesci. Il mio arto mancante pulsa come un piccolo cuore perduto. Lo so com’è vedere il lastricato degli ultimi duecento metri. Chiudo gli occhi. I lastroni lucidi contro il sole del primo pomeriggio, le urla, la gente, l’ultimo terribile strappo dove o muori o voli. E poi l’angolo di paradiso che intravedi nel buio. Alzati sui pedali. Guarda indietro. Apro gli occhi e rivedo tutto lì.
Scorre il sangue nel vuoto.
Guardo l’imbuto stretto dell’arrivo che adesso è vuoto. Ci passa un vecchio con la bicicletta, due ragazzini con una frittella in mano. Dov’è la gente che ti sommerge come una valanga? Dov’è il pezzo di me che ho perso? Lo sento pulsare dolorosamente come se ancora fosse lì, attaccato al mio corpo senza che io me ne fossi mai accorta. Ma è così che funziona, no? Non ci rendiamo mai conto di cosa ci serve per essere completi.

Siena è strana senza corsa. Ma non come è strano il Kwaremont senza gente o il Geraardsbergen o il velodoromo di Roubaix. Siena è vuota, Siena è muta, nella perenne aria gelida che alita nei suoi vicoli ombrosi dai quali però si vede ancora di più il cielo, sprazzi di azzurro come sprazzi di certi momenti di luce assoluta che abbiamo vissuto, surreali miracoli rimasti in sospeso.

Sulle colline fuori dalla città scende la sera, i cipressi come soldati immobili vegliano il tramonto indaco: l’ultimo colore che percepiamo quando vediamo l’arcobaleno. L’ultimo che gli occhi riescono a vedere prima della notte.
La luna è già chiara sopra i casolari.
Sento ancora il mio arto che pulsa come un cuore rimasto altrove e prego soltanto che sia vero. Abbiamo ancora l’ultimo colore dell’arcobaleno che può salvarci dal buio.

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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