Namur era una delle mie ossessioni. Uno di quei posti che mi chiamano da lontano come un sortilegio o qualcosa del genere. Non gli puoi dire di no, se sei una che ascolta queste cose. E io lo sono, purtroppo o per fortuna. Forse per la prima volta nella mia vita ho trovato tutto esattamente come l’avevo immaginato – persino meglio, ognuno ha i suoi limiti – e il Belgio è stato il più bel regalo di Natale di sempre. Con le sue luci, le frites, la birra, l’odore del fango e dei waffles caldi sono tornata una bambina stupita per ogni cosa.
Io e i miei compagni di viaggio (che pazienti, grazie) abbiamo percorso quasi quattrocento chilometri.
Eccoli qui.

 

PLAYLIST 🎧

So che può essere strano e anche totalmente fuori luogo ascoltare indie italiano in Belgio ma la storica radio Nostalgie il più delle volte prendeva male o trasmetteva canzoni francesi senza senso compiuto quindi abbiamo dovuto arrenderci a Spotify. E ancora una volta, il caso non è un caso. Ascoltare Orgasmo mentre ci lasciavamo alle spalle Bruxelles in un pomeriggio dei suoi, con un volo di corvi neri sopra le case, contro il suo cielo bianco e il sole pallido è stato così bello che quel fotogramma non me lo dimenticherò più, lo giuro.

Sei la mia città – Cosmo
La musica non c’è – Coez
Orgasmo – Calcutta
Occhiaie – Galeffi

HUY

Andare sul Muro simbolo della Flèche Wallonne fuori stagione. Magari può sembrare inutile ma non lo è mai, esistono templi che vivono sempre, nel caos e nel silenzio, sono sacri a modo loro. Pioviggina mentre io e la Miky andiamo verso Huy – come sarebbe giusto, Federico se la fa in bici ma se l’avessi fatto io, sarei ancora là – e ad essere sincera il Muro lo becchiamo subito a colpo sicuro, alla rotonda a sinistra, come se il navigatore ce l’avessimo dentro. E’ il ciclismo, maledetto bastardo se ti amo.
Sull’asfalto c’è scritto “Huy” in bianco ogni due metri, è un classico, non ti puoi sbagliare. Ma è strano il pomeriggio qui, la salita è una lingua nera della pioggia recente, le case tutte diverse eppure tutte simili come in una cartolina, i mattoncini rossi, le imposte bianche, i giardini e l’odore del muschio. Ci sono le capre che pascolano tranquille in un quadrato d’erba, in un silenzio surreale, in una luce dove il sole è un cerchio bianco ultraterreno. E poi comincia a piovere.

la machine muur huy
In cima al Muur non c’è praticamente niente a parte un piccolo ristorante senza pretese. Abbiamo una discreta fame, riusciamo ad ordinare anche se il cameriere parla francese e noi in quella lingua facciamo fatica anche a chiedere un’acqua naturale. Punto decisamente – e ci trascino pure la Miky – al Toast de Chevre ricordandomi di buoni consigli che anche Google mi conferma. Peccato che la rivisitazione corrisponde a un toast con il formaggio caprino (freddo) spalmato sopra, il miele e l’insalata. Bene ma non benissimo. Guardiamo l’oliva ripiena di aglio dell’antipasto che è schizzata sulla tovaglia poco prima. Nessun posto è perfetto come quello in cui ti senti libera di ridere.
olive mur de huy
Quando scendiamo non piove più, si è alzato il vento ed è gelido. Sulla via del ritorno verso la nostra casetta di Namur ovviamente ci perdiamo, un po’ per colpa del navigatore che segnala tutte – dico tutte – le strade, ci troviamo nel bel mezzo del nulla. Attraversiamo i boschi per viottoli sconnessi che tagliano la collina, tra file di alberi mentre lentamente scende la sera fino a che arriviamo a una strada senza uscita, una cascina deserta, il cane che abbaia, la legna fresca di taglio ammonticchiata di fianco al trattore. Fuori dal mondo reale. Ci salva Google, come sempre. Ma a dire tutta la verità, ogni tanto, perdersi è bello.

Le Cortina
Plaine de la Sarte, 15
4500
Huy

BRUXELLES (PART I)

Federico è il nostro consulente ufficiale sulla birra visto che noi abbiamo dalla nostra la passione ma a competenza stiamo a meno di zero. Dato che la nostra esistenza non può proseguire – testuali parole – senza aver bevuto la Duvel, cominciamo la serata a Bruxelles così, in un locale che fa cucina tipica proprio in una delle vie che portano alla Grand-Place.
Le polpette hanno una salsina scura a base di birra. Agrodolce. E a me piace l’agrodolce. Nella lista dei dolci c’è il tortino al cioccolato. E io amo il tortino al cioccolato.

Brasserie de la Ville
Rues des Chapeliers, 14
1000
Bruxelles

E’ buono ma stasera ho di nuovo cinque anni e ho troppa voglia di uscire a vedere le luci, a vedere com’è Bruxelles immersa nel suo Natale. Gli edifici della piazza sono una specie di set di una favola e si illuminano al ritmo della musica – natalizia, certo – ed è come essere dentro un carillon. Dio salvi lo stupore che in fondo ha la stessa eccitazione dell’amore.
Fuori dai locali ci sono gli elenchi delle marche delle birre, la gente nei giubbotti che guarda le vetrine della Gallerie Saint-Hubert scintillanti e piene di praline, cascate di cioccolato e dolcetti trasportati avanti e indietro da omini su una funivia giocattolo.

Entriamo in uno di quei bazar che hanno tutto. Siamo stanchi, vogliamo solo delle birre da portare a casa, da bere in pigiama attorno alla stufa.
Quando torniamo a Namur e alziamo gli occhi al cielo ci sono così tante stelle da restare per ore così, a guardare in alto, a farsi venire mal di collo, al buio e al freddo. Si curvano sopra di noi come un regalo, passano due stelle cadenti ma io non le vedo. Non fa niente, questo è già un grande desiderio esaudito. A volte i bambini sono felici con poco, basta che sia intenso.

CITTADELLE DE NAMUR

Gli alberi sono alti fino al cielo bianco. La domenica con il ciclocross per i belgi è un po’ come andare allo stadio, anzi meglio. Forse questo è uno dei circuiti più belli in assoluto che attraversa il bosco e i suoi tronchi neri e ossuti, il fango che si impasta con l’umido dove il sole – quando c’è – filtra appena. Andare a vedere il ciclismo qui non è solo per appassionati. Uno può anche odiarlo, non capirci niente, ma questa resta comunque un’esperienza trascinante quanto un concerto.  Qui pagano per entrare, sì. E un amico mi ha persino detto che sono contenti di pagare perché è così che il ciclismo può andare avanti, solo così lo spettacolo può continuare a questi livelli. Avanti, loro lo sono anni luce in questo senso.
In ogni caso, girare su e giù per il circuito come trottole è sport nazionale dell’inverno e pure fare la coda per le patatine fritte e la birra ai chioschi. Mentre aspettiamo, fotografo tre ragazzi vestiti da tartarughe ninja, uno di loro mi parla in francese, io non capisco, parlo in inglese, lui non capisce. Parliamo a gesti, va bene anche così, lo rivedrò dopo e ci saluteremo come degli amici. Succede così, magari fosse la normalità!
tartarughe ninja namur
Al chiosco un tipo coi baffi – in coda anche lui – ci consiglia la salsa più buona anche se io alla fine chiedo il mio ketchup sulle frites che non so bene cos’ha di speciale qui ma di sicuro è diverso, ha un sapore più intenso, come ogni dannata cosa di questo Paese. Prendiamo le birre ma sono troppo fredde per questo pomeriggio, io e la Miky abbiamo bisogno del sacro vin brulè di cui sentiamo il profumo ma non sappiamo individuarlo nel menù e stiamo per fare una stronzata enorme ordinando due tazze di zuppe di cipolla. Federico chiede a uno che sta spillando bicchierini e capiamo che si chiama “Gluewhein” e forse sì, è vino scaldato e basta e come dice la Miky saremo veramente irresistibili con l’alito da nonno che torna dalla Casa del Popolo ma l’importante è che sia b-o-l-l-e-n-t-e: sopravvivere alle ore di cx è una cosa seria. E vitale direi.

Mancherebbe solo uno di quei cappellini con il pon pon gigante per sentirsi veramente e completamente immersi nella cultura del fuori strada ma non li vendono come li vorrei. Prendo un paio di cartoline di Tom Pidcock (è una piccola star, diventerà un campione anche su strada e io mi ricorderò di oggi) tra la gente che si affanna a cercare quelle dei suoi idoli al gazebo dei Fidea Lions. E’ la solita sensazione: ti senti a casa anche se è la prima volta.

NAMUR

Siamo stanchi, restiamo in paese. Ma non ci dimentichiamo che qui si cena presto. Troviamo un ristorante che fa cucina tipica (per non sbagliare) e il cameriere ci porta una lavagnetta con i piatti fuori menù che tentiamo di decifrare senza successo. Dopo aver meditato per mezz’ora, vado abbastanza sicura verso l’insalata belga gratinata – in teoria la gratinatura è una garanzia – che alla fine è buona ma veramente eccessiva e servita con il purè di patate, giusto per farci rinunciare ai dolci per causa di forza maggiore.

Brasserie Francois
Place Saint-Aubain, 3
5000
Namur

Fuori Namur è semi deserta, un piccolo paese in una sera d’inverno, con le vetrine illuminate dei negozi chiusi. Ci sono le casette dei mercatini in piazza, una fa il gluewhein e Federico ha ragione, di sicuro questo merita. E’ vero. Ha le spezie, si sente dal profumo. Torniamo alla macchina con il bicchiere fumante in mano, il sapore dolce e secco dell’alcol in gola. E comincia a nevicare piano come se qualcuno avesse agitato la boule de neige dove stiamo vivendo, lontano un po’ da tutto. Una piccola e innocua bufera di neve e l’orizzonte pieno di luci mentre andiamo via.

BRUXELLES (PART II)

Sì, forse l’intenzione era fare colazione con un waffle a Bruxelles ma quando arriviamo in città sono tipo le undici e mezza. Di sicuro non possiamo rinunciarci prima di tornare in Italia perciò scegliamo uno dei negozi in Rue de l’Etuve che probabilmente, essendo una delle più turistiche che porta al Manneken Pis, ha la maggiore concentrazione di vetrine con waffles di tutti i tipi e colori. Lo mangiamo in piedi, guardando le scolaresche di bimbi davanti alla statua del bambino che fa pipì e li guarda dalla sua piccola nicchia. E’ tradizione che il bambino venga vestito con abiti diversi in occasione delle festività e anche se la sua origine è avvolta da varie leggende, resta il simbolo incontestato dello spirito indipendente dei Belgi.
manneken pis bruxelleswaffles bruxelles

E’ lunedì mattina ma quando addento il waffle e sento il suo sapore come di frittella che si scioglie in bocca insieme al cioccolato fuso mi sembra che questo lunedì assomigli al paradiso. La Miky combatte con due o tre piccioni che le girano intorno, un bambino passa.“Salut” dice teneramente al piccione che si spaventa e vola via.

Leonidas Chocolates e Gaufres
Rue de l’Etuve, 55
1000
Bruxelles

Tutta questa dolcezza, il waffle, il bambino coi piccioni, mi fa venir voglia di cento colazioni così, consumate in piedi all’angolo di una strada di questa mia città preferita che è bella senza spiegazioni, con il profumo del cioccolato caldo, le pozzanghere che riflettono un sole strano che sbuca dalle nuvole grigie.
Nella Grand-Place, Federico scova il museo della Birra: una scaletta che porta a una stanza sotterranea con antiche attrezzature e i tavoli per la degustazione.

Museum of the Belgian Brewers
Grand-Place, 10
1000
Bruxelles

Forse il museo è poca cosa ma di sicuro vale la pena prendere un bicchiere di birra lì, con un signore sulla settantina, coi capelli bianchi che chiede gentilmente: “Blonde or Dark?
Dark, dico. Maledizione, oramai adesso mi piace la birra scura.
L’uomo spilla la birra dai rubinetti dorati con una cura millenaria, appoggia i bicchieri sulle piastrelle bianche del tavolo di legno e con un gesto livella la schiuma che straborda, li pulisce, ce li mette sul vassoio con un sorriso. Ci sediamo a bere e forse ci dispiace guardare sempre l’orologio per seguire il nostro preciso programma. Dovremmo dimenticarci tutto, almeno per un po’, almeno per un giorno, persino del tempo. Soprattutto del tempo.
museum of the belgian brewers bruxelles

museum of the belgian brewers bruxelles

Devo assolutamente portare a casa i macarons, anche se sotto Natale i negozi sono strapieni di cioccolato (quando entri te ne offrono un pezzettino con un sorriso) ed è così difficile trovare qualcosa di diverso. Prima di partire, per puro caso, ho visto un servizio del Tg sui mercatini di Natale a Bruxelles, quindi non voglio andarmene senza aver visto la raclette colare nel mio panino. Formaggio fuso e grattato via con una spatola. Solo quello, niente altro per piacere.
grand place bruxelles

C’è ancora così tanto da vedere ma così poco tempo, il sacro tempo che rimane per l’Atomium, uno dei simboli della città.
Lo vediamo da lontano, imponente tra gli alberi spogli, con le sue sfere luccicanti che riflettono il cielo con insoliti squarci d’azzurro. Finché non lo vedi dal vivo non capisci che è veramente bellissimo, enorme e surreale come se venisse da un’altra dimensione.
atomium
Era stato costruito per l’Esposizione Universale del 1958 e dalla sfera superiore si gode di un panorama della città a trecentosessanta grandi e, pensa te la fortuna, in questi giorni è chiusa. In ogni caso l’esperienza all’interno è una figata, le scale mobili che collegano una sfera all’altra ti fanno sentire in una navicella spaziale degli anni Sessanta con tanto di lucine e tutto il resto.
atomium magritte

atomium interni

atomium panoramica
Prima di uscire guardiamo Bruxelles dall’alto, due delle sfere che la riflettono nella luce languida del pomeriggio, un momento di puro incanto, come quando ce lo lasciamo alle spalle: la gigantesca struttura cristallina del ferro che si disegna nel cielo di nuovo bianco in un’inquietante bellezza, a delineare l’anima di una città così camaleontica da non crederci, così immensa e così intima, come se fosse in un attimo al centro del mondo e in un altro improvvisamente in una galassia lontana.

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Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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