Non so neanche quante ore è che sono qui e ho la strana sensazione di essere a casa. Come se niente fosse successo, come se il tuffo nelle nuvole sopra il Belgio fosse stato il varco per un’altra dimensione. Di nuovo quella. L’orizzonte piatto con gli alberi neri e spogli contro il cielo bianco, di quella luce bianca di qui, che fa brillare e case con i mattoni rossi e i tetti grigi.
Il muro di Huy è surreale senza biciclette, un silenzio d’inverno che odora del muschio che cresce sui muretti all’ombra delle case strette e lunghe.

Huy c’è scritto, non puoi sbagliare. Ogni metro o quasi sull’asfalto umido della pioggia recente. Come ogni luogo sacro tra le cose sacre, riesce a parlare anche senza parole, senza grida, senza urla, senza gente, nell’isolamento estatico di un dicembre che con le Classiche non c’entra niente. La città è là in fondo, con la guglia grigia della sua chiesa e le sagome inquietanti delle torri di raffreddamento della centrale nucleare che sbuffa fumo bianco come nuvole nei giorni di sole. Il terrore e la meraviglia, l’urlo di questo muro e delle sue pendenze che hanno il potere di decidere una corsa, a volte una carriera, a volte una disfatta.

Huy è assorto tra le sue cappelline bianche e distanti, chiuse nei loro cancelli, chiuse in preghiera. In mezzo i giardini umidi e deserti delle case, caprette che pascolano e ti guardano assorte senza avvicinarsi. Huy ha l’anima scontrosa e bella e intima del Nord, di quelli che si parlano senza parole e si capiscono.

Huy, alla fine, è solo un chilometro ma questo non può quantificare né la sofferenza, né la gloria, né la speranza.
Comincia a piovere ancora e poi smette, il vento spazza le nuvole e da quassù il confine azzurrino dell’orizzonte ha un bagliore di luce che fa sembrare il paese una di quelle cartoline per bambini di inizio secolo. L’ultima luce prima della sera.

Da un comignolo lontano sbuffa un fumo grigio, ha la forma di un airone, di una fenice forse. Di una fenice. E’ la prima volta che la vedo così, come se fosse uno spirito. Così distinta, grigia nel cielo bianco come in un volo. Ci sono così tanti modi per rinascere in fondo.
Tornare, per esempio.

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

2 risposte a "Fenice"

    1. Grazie Paolo, è bello che tu ti sia ritrovato lì con il potere delle parole. Vedere Huy senza gente è stata un’esperienza molto strana e molto bella, come tutte quelle belghe.

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