Un alone bianco e quasi magico contorna le montagne basse e brulle, le divide dal cielo azzurro come se fosse il segno di un gessetto tracciato da un bambino. Fa caldo, ci sono le case tutte bianche con le buganvillee e i cactus e le piante di aloe nei giardini. Il traguardo si vede lassù, un puntino rosso lontano. Ci si arriva per una strada a tornanti, cancelli di ville di tanto in tanto che sembrano disabitate nella siesta afosa del primo pomeriggio. La gente sale a manciate, a torso nudo lucidi di caldo, abbronzati per metà, come i ciclisti. Marchio di fabbrica, lo stesso amore alla fine.
C’è il vento quassù dove la montagna si apre davvero sulla costa e il mare si confonde con l’orizzonte, non c’è più una riga, non c’è più niente. I motoscafi lontani disegnano cerchi bianchi e c’è un sentiero stretto tra i pini marittimi, dove c’è l’odore della macchia mediterranea, dei suoi arbusti, delle sue rocce. Le cicale urlano sopra la voce dello speaker, una canzone che sciama nei chilometri che mancano.
Sei minuti che se li mangiano in un soffio, le rampe sono dure qui, brevi e secche e intense, come questo posto, come l’arsura di fine agosto. Una manciata di cubetti di ghiaccio si scioglie lentamente sull’asfalto, vengono dai frigo dei massaggiatori. Un bambino si avvicina, ne prende due e li butta nella sua borraccia.
Vive così il ciclismo, la sua anima si nutre del contrasto tra la bellezza e il dolore, tra la fatica e la serenità.
La pace nell’inferno, il silenzio nel rumore.
Si alza ancora il vento quando arrivano gli elicotteri, torna la linea tra cielo e mare, esulta un ragazzo per la sua prima vittoria, scivola giù l’acqua a lavare via il sudore. Uniti nella fuga, divisi dal traguardo. Se la fatica fosse un colore sarebbe il bianco, di quando il sole ti brucia gli occhi, di quando non vedi più niente, nemmeno che sei arrivato. Non bisogna mai pensare che la fatica sia sprecata, che la stanchezza sia una prerogativa dei vinti.
Mi bruciano le gambe, sono i graffi che mi sono fatta con gli arbusti cercando di scalare la montagna per trovare un posto dal quale fotografare il traguardo. Si incrociano come una ragnatela, come un disegno. Il marchio di qui, l’acchiappasogni di Alcossebre. Piume nel vento che adesso ha l’odore di frizione bruciata, le macchine che scendono verso gli hotel.
Chissà se certi graffi sono fili abbastanza resistenti per trattenere tutti i sogni buoni. Chissà se si può davvero scacciare gli incubi, farli volare via come uccelli.
E’ calda la sera con la costa lontana, tranquilla come un uragano.
SULLA VUELTA 2017:
♥ L’essenziale
♥ Il veliero