Penso a quanto sarebbe geniale usare i vuoti mentali che ti vengono sulle cose che hai mangiato il giorno prima o sui nomi della gente alle quali ti presenti distrattamente, con i maledetti ricordi che ti tormentano quando meno ne hai bisogno. Cancellare pezzi di vita in blocco, basta, finito, e chi cazzo si ricorda più. E invece no. Questa maledetta strada diritta quasi senza fine delle campagne che circondano Milano è una specie di agonia domenicale che non mi lascia in pace, ad ogni incrocio una marea di delusione che mi fa pensare alla Primavera come un posto inabitabile, come tutti quelli in cui abbiamo vissuto momenti felici.
Ma c’è da dire che sono anche abituata a guardare in faccia mattine come queste senza abbassare gli occhi. Sappiamo che alcuni istanti non durano mai per sempre ed è per questo che – quando accadono – li fissiamo così intensamente da farci bruciare la testa.

Qui l’unico bar che ispira fiducia è pieno di gente, il bombolone è freddo e vuoto come i panini sui voli low cost ma, se c’è una cosa positiva di questa assurda partenza, è il fatto che sia scomparsa quella frenesia psicotica della Milano-Sanremo che deve partire ad ogni costo, solo perché c’è da liberare la città in fretta.
Adesso la corsa va dolcemente verso il mare e io mi sento un po’ meglio, come quando ci si dà appuntamento altrove e tu sai che sarai puntuale ad ogni costo, oltre tutto e nonostante tutto.
Il sapore unico della focaccia di Spotorno fa il resto, mi convince che i ricordi non sono sempre qualcosa con cui convivere forzatamente ma possono diventare un rifugio, un porto sicuro quando la merda arriva quasi fino al collo.  

C’è un posto dove puoi toccare l’immensità del mare ed è quando lo guardi dall’alto: tutte quelle onde verso la spiaggia e i luccichii, le barche minuscole e l’azzurro che sembra mangiarsele. Ci sono posti dove non puoi fare a meno di alzarti sui pedali e uno di questi è il Poggio, un luogo senza infamia e senza lode che il ciclismo ha benedetto per sempre come fa con i suoi eletti. Tra le enormi vasche di cemento per l’acqua piovana e le serre di plastica necessarie alla fama di Sanremo in tutto il mondo, ha costruito un trampolino di lancio per gli attaccanti, fatto apposta per buttarsi in picchiata senza paracadute.


Quando vedo che il tipo della polizia locale mi fa segno di accostare un attimo, io ne ho già piene le palle della gente o delle transenne in ogni dove che trasformano le foto in un cartellone pubblicitario. Ma questo è uno dei miracoli della giornata, lui mi dice che è un appassionato e che c’è stato un tempo in cui si è fatto dieci chilometri a piedi per vedere un arrivo. Benvenuto nel club. Così per la prima volta in vita mia parcheggio in sosta vietata con il benestare delle autorità mentre il vento a favore scuote gli olivi e gli alberi di limoni nei giardini. Chiudo un attimo gli occhi, nell’unico punto in cui l’aria non tenta di portarti via.
Che cosa senti adesso?
Non so perché mi viene da piangere. Abbiamo fatto così tanto nel solo nome di quello in cui credevamo, amore principalmente. Niente testa, da nessuna parte, come quando parti e vai via da solo: non è neanche l’istinto e nemmeno le gambe, c’è qualcos’altro che la gente associa all’incantesimo. In giorni come questi, Van der Poel ti scatta praticamente in faccia, una frazione di secondo in cui puoi sentire tutto: il corpo proiettato in avanti, la perfezione di un’azione secca e persino il respiro degli inseguitori, così vicino come si è stati in cento altre primavere della nostra vita. Mille esistenze a inseguire il momento perfetto dell’attacco, vivere a cento allora per far fermare il cuore in quell’istante.
Sono qui dove mi aspettavi, nonostante tutto.  


Mathieu scende a picco verso Sanremo, vince come sa vincere lui, con quel plateale trionfo d’altri tempi, un David di Michelangelo a braccia aperte nella romantica luce di marzo della Riviera. La Milano-Sanremo è noiosa dicono, ma noi sappiamo che questa è una stronzata, che riconosceremmo questo giorno anche ad occhi chiusi. La magia non è una cosa che vedi, puoi solo sentirla quando ti passa vicino.

Sulla spiaggia una specie di sciamana mi mette tra le mani un sasso.
Un cuore, mi spiega sorridente. E niente altro. Io lo guardo, è pieno di linee bianche che si incrociano.
Quando alzo gli occhi, quella strana guardiana delle pietre è già sparita ma io penso che due binari non possono continuare a correre paralleli per sempre. Prima o poi si incontreranno e, quando succederà, sarà di nuovo nel miracoloso momento di un attacco.  

Secondo la geometria euclidea, due rette parallele non si incontrano mai. Mentre, in altri tipi di geometrie, si possono comportare in modo diverso, divergere oppure convergere. 
Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

2 risposte a "Dove le rette parallele si incontrano"

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