Le pareti di roccia costeggiano la strada verso i passi, la montagna emerge dalla luce come solo le Dolomiti sanno fare, con quella specie di bellezza sconvolgente che non riesci a credere che possa esistere un luogo così sulla terra. Invece esiste e – da piccolo umano sulla bicicletta – questo è tutt’altro che un paradiso.
“Dove inizia il tratto duro?” chiese una volta Pantani a Garzelli.
“Marco, siamo nel tratto duro” rispose lui.
Un alieno su un altro pianeta.
Questa lingua di asfalto sembra davvero tagliare Marte in due, con le rocce a vegliare gli astronauti che sfidano l’altitudine, la mancanza d’ossigeno e le previsioni di bufera che oramai vengono diramate da giorni. Ma le nuvole portano la pioggia continuamente più in là, tutto attorno a questo occhio del ciclone, benedetto dalle birre dello Swatt Corner, fomentati dall’agonismo e da questo culto sacro dell’azione.
In fondo è questo quello per il quale tutti stanno pregando – oltre al bel tempo – che il tappone dolomitico sfanghi la finale di Champions, che si parli del ciclismo sopra tutto, che queste montagne salvino un Giro in ombra. Un tipo al bar stamattina – prima di servirmi un tè pessimo – mi ha detto che serviva un miracolo per tenere la pioggia lontana e i miracoli non esistono. Invece esistono ma solo per chi crede. É così che nessuna goccia di pioggia sta toccando questo asfalto pieno di scritte ed è così che Alessandro Covi compie l’impresa. Attacco da lontano, come la dottrina vuole. Denti stretti fino alla fine, come il cuore comanda.

Ma questo è l’unico sport dove lo spettacolo non finisce dopo il vincitore. Li accompagnano tutti, si abbracciano persino, loro sulle bici, gli altri a correre a perdifiato lungo la strada. Come se si ritrovassero dopo un lungo viaggio, come se si conoscessero nel profondo. Vicini di nuovo, vicini per sempre. La montagna veglia i suoi pazzi correre su e giù, gli permette di rompere il silenzio perchè anche le immobili pietre lassù sanno che nella vita l’intensità significa esistere.
Significa tutto.

Gli ultimi tornanti sono ampi e dolci e immersi nella quiete della valle, tutt’attorno ci sono gli squarci lasciati dalla tempesta Vaia, una catastrofe per gli uomini e una rinascita per la natura. Là dove gli abeti rossi non permettevano alla luce di passare e alle piante di crescere, ora sono spuntate felci, i lamponi, i noccioli, i frassini.
E l’Epilobio, che ha proprietà curative e i Lakota chiamano “fiore di fuoco”.
Perché ha il potere di fiorire dopo gli incendi.