ARENBEEERG – Io e la mia amica Miky l’abbiamo trovata in un Tiger di Roeselare. Nera in mezzo a tutte le bianche, ci guardava implorandoci di liberarla dalla schiavitù del consumismo pasquale e portarla con noi. L’abbiamo adottata e battezzata subito Arenbeeerg – come la foresta, naturalmente – e da lì abbiamo scoperto che era tanto tenera quanto folle e poi che sta pecora, da buona belga, aveva una passione particolare per la birra e per il ciclismo. Le abbiamo quindi aperto un profilo Instagram – ce l’ha pure Matilda Ferragni – per promuovere l’emancipazione delle pecore nere nel mondo.
Parlando seriamente, certi esperimenti mi hanno sempre stuzzicato e questo lo è: in una società in cui tutti cercano le stronzate per alleggerire la vita, perché non usare le stronzate per lanciare un messaggio speciale? Quelli che Arenbeeerg condivide ogni giorno sono molti, uno su tutti è che essere diversi non deve essere un limite mai.
Una piccola pecora nera può avere un grande destino.
BELGIO – Penso si possa definire la mia seconda casa quest’anno. L’ho girato praticamente tutto, dal confine con l’Olanda fino a quello con la Francia, sentendomi in ogni secondo protetta e al sicuro. Lo so che può sembrare strano in un Paese che ha vissuto il terrore continuo degli attentati ma ricordo perfettamente le parole del nostro amico Ward che, mentre eravamo a Lille, ci diceva: “Andate a cenare a Kortrijk, vale la pena sconfinare. Quello non è un posto per quattro ragazze” e appena passavamo il confine sapevamo di poter stare tranquille. Aveva ragione. Viaggiare liberi è un lusso bellissimo che la società ha dimenticato.
Ai waffles caldi, al profumo delle giostre, delle patatine, alla dolcezza del ketchup, alla purezza delle sere, al malto delle birre.
A te, piccolo grande Stato-paradiso: niente potrà mai cambiare quello che sei.
COCA COLA – John Pemberton la inventò nel 1886 per caso, come tutte le cose geniali. Se mai servisse, io ho prove per la beatificazione e la successiva santificazione di quest’uomo. La Coca-Cola è una specie di passepartout, in questo anno in particolare è stata la mia salvezza. Quando stavo male, quando ero stanca, quando avevo bisogno di energia per restare sveglia mentre guidavo o per scrivere dopo una giornata di cento ore. Adesso mi sembra di sentirli, i puristi della sanità, quelli che un bicchiere equivale a dieci cucchiai di zucchero o guarda cosa ha fatto al marmo della cucina, pensa al tuo stomaco.
Non ascoltarli John, grazie per il supporto costante, su questa Terra serve molto.
DON CAMILLO – Certe sere ero così triste, triste di quando non riesci a dirlo a nessuno perché hai paura di chissà che cosa. Allora accendevo la televisione, su Rete Quattro c’era don Camillo e mi sembrava che qualcuno da lontano – o forse da molto vicino – mi abbracciasse, come una sensazione di qualcuno che ti dice: va tutto bene. Mi veniva automatico prendere il pentolino e scaldarci la camomilla mentre le pareti della cucina diventavano quelle della casa della nonna e lei che ci metteva tre cucchiai di miele, il nonno che guardava la TV. Il nonno che credeva in me anche quando non facevo un beato niente. Luce dei suoi occhi e ora lui Spirito dei miei giorni in cui seriamente mi sento uno schifo colossale. E’ stato un sollievo, in quelle sere, guardare don Camillo che parlava con Gesù Cristo nel suo paesello dimenticato dal mondo. Forse anche io mi dimenticavo del resto, forse anche lui era lì e io mi sentivo protetta. La camomilla era ancora dolce come vent’anni fa.
ENFER DU NORD – Non c’è niente di male nel piangere, anche se succede mentre guardi una strada che taglia in due la foresta dal vetro lavato dalla pioggia del Nord della Francia in un giorno che più deserto non si può. Così è stata la mia prima volta con la Parigi-Roubaix: niente scontri frontali, nessun inferno, nessuna corsa a centoventi allora. Semplicemente quel posto fuori dal mondo, slavato e pallido come la primavera del Nord, con il tempo giusto per sentire davvero tutto quello che in fondo avevo già sentito. Tutto quello che è venuto poi è stato così naturale che, se me lo avessero detto, non ci avrei mai creduto. E’ vero che questa corsa è unica: per come è stata pensata e per come è, una contraddizione fin dall’inizio, da quando hanno pensato ai settori, a vecchie strade di campagna così poco adatte alle ruote di una bicicletta. Ma adattarsi fa parte del ciclismo, è uno dei suoi pilastri portanti. Come andare oltre al limite, superarlo a tutti i costi. Crudele, masochista, ingiusta, nera, bellissima. Fino a quel momento non sapevo che gli incubi potessero far realizzare i sogni.
FUORI – Senza accorgermi per sei mesi ho messo nei titoli degli articoli il termine “fuori” e quando me ne sono resa conto ho pensato che forse era un indicatore del mio stato d’animo. La parola fuori va d’accordo un po’ con tutto: che sia la rivoluzione o la delusione. E’ anche un album dei Ministri che ho ascoltato milioni di volte durante questa stagione e… il mio tatuaggio per la prossima.
GIUSEPPE – raramente ho sentito qualcuno chiamarlo così, per tutti noi era “Il Castelli”.
Se ne è andato per sempre una sera, mentre scaricava sul pc gli scatti di una corsa juniores. Non è facile rendersene conto davvero. L’anno prossimo non avrò nessuno che mi accoglierà alle corse con un classico “che brutta gente che c’è in giro” ma per farmi perdonare di non averlo salutato come avrei voluto, aggiornerò Flickr puntualmente, come se lui fosse ancora qui. Che poi con tutta probabilità lo è ancora e forse si dispiacerà di non avere con sé la sua macchina fotografica per farmi foto ridicole mentre parlo.
HOTEL – In fondo gli alberghi si prendono sempre una piccola parte di noi. La stanchezza, la tristezza, la pura felicità. Piccoli quartieri generali disordinati, con mille fili e gli armadi spostati per trovare le prese della corrente, le docce che hanno visto le nostre giornate scivolare via di botto e la gente nella stanza a fianco che forse ci ha mandato a quel paese perché asciugavamo i capelli alle due di notte. Dalle bettole fino alle camere che non avrei mai voluto lasciare, tutte sono state un autentico covo itinerante dove rimettere insieme i pezzi, le parole o una gara per intero.
INNSBRUCK – L’ultima vera trasferta di quest’anno, un misto di miracolosa autostima – questa sconosciuta – e consapevolezza. A volte mi succede che una città mi dia particolarmente forza, Innsbruck è stata una di queste. Non so se sia stata l’esperienza mistica della Holl deserta o gli amici che ho incontrato o forse una combo di tutte e due le cose, ma di sicuro l’aria di questo posto è stata una medicina. O forse più una dose di morfina perché poi tornata a casa era tutto più o meno come prima ma questo resta un dettaglio in confronto al resto.
LONDON – Come Jack London. Banalmente famoso per essere l’autore di “Zanna Bianca”, nella sua vita ha scritto veramente tantissimo e ha fatto qualsiasi cosa: viaggiato da un punto all’altro della terra, cacciato foche, supportato lotte politiche, cercato l’oro nel Klondike, oltre a dilapidare un paio di patrimoni. Ho iniziato a leggerlo perché avevo bisogno di approfondire alcune cose sul labile confine morte e vita che mi servivano per un romanzo. Non so se ho trovato esattamente quello che cercavo ma di sicuro ho scoperto una prosa assurda, violenta, secca e coinvolgente che mi ha fatto capire quanto ancora bisogna evolversi.
MIRIAM – Le volte in cui ci presentiamo agli altri durante l’anno sono incalcolabili. In una di queste volte, la persona che avevo di fronte, dopo avergli detto come mi chiamavo, ha ribadito meravigliata: “Un bellissimo nome biblico. In Germania ci sono moltissime canzoni dedicate a Miriam, anche in Italia?”
“No, non credo” ho risposto io.
“Miriam era poco più che una bambina ma aveva un’incredibile forza, era così perseverante. Tu porti questo nome con onore”
E questo sconosciuto che avrà avuto sessant’anni mi ha guardato in un modo paterno, come se sapesse davvero chi fossi. E’ stato surreale, bellissimo.
NO – imparare a dire di no. Niente di che, solo un proposito per il nuovo anno, uno di quelli che so già essere inutile.
OTTO – Grazie al cielo non credo di ricordarmi cosa stessi facendo nel 2008. Generalmente io e i numeri non andiamo d’accordissimo, spesso tendo ad invertirli, mi creano casino mentale però mi piacciono le simbologie. L’otto rappresenta l’infinito e una cosa che mi ricorderò sempre – per ovvi motivi – è che i Battisteri hanno otto lati per simboleggiare l’Eternità. Due cerchi vuoti e pieni, come questo anno è stato, pozzi rotondi in cui guardare il buio oppure fari nella notte. La prossima volta che scriveremo un otto alla fine della data, saranno passati dieci anni e chi può dire cosa saremo: penso di essere abbastanza sicura sul fatto che certe cose successe nel 2018 non le dimenticherò ma per il resto, il futuro mi crea casino e – esattamente come la matematica – nessuno mi ha mai rassicurato in merito.
PAESI BASSI – Un posto dove la gente ha imparato a vivere in simbiosi con gli elementi, l’acqua e il vento. Dove le città non hanno macchine, gli adulti vanno al lavoro in bicicletta e i bambini entrano a scuola alle nove. Dove nei bar ti sorridono tutti e ti regalano le spremute insieme alla colazione.
L’Olanda ha sicuramente i suoi difetti ma il suo fascino è riuscito a nasconderli praticamente tutti – sì, forse esagerano un po’ con il caramello nei dolci – e a farmi sentire parte della sua quotidianità. Grazie al profumo del pane del mulino, ai peschi quasi in fiore, alle luci che si riflettono nitide come in un quadro nel fiume che taglia in due Maastricht, alle campagne sperdute sotto la luce di aprile che hanno curato un pochino la mia malinconia.
QUEEN – La storia dimostra chiaramente che se avessimo dovuto ascoltare i critici – cinematografici, letterari, culinari – non avremmo avuto nessun grande artista, di quelli che spaccano il culo alle stupide regole. Sono andata a vedere il film sui Queen uscito quest’anno e, al contrario dei grandi cinefili, io che non capisco niente, l’ho trovato bellissimo. Soprattutto perché ho avuto un’illuminazione. Continuano a farci credere che la strada per il successo sia quella di credere in sé stessi. Beh, non è vero: siamo fragili, umani. Non possiamo contare su di noi. La sola cosa che dobbiamo fare è credere forsennatamente in quello che facciamo, il che è profondamente diverso.
RIBELLIONE – Forse è veramente fortunato chi non mi ha conosciuto da adolescente quando ero la mente delle rivolte scolastiche. Con il tempo ho capito che un po’ di diplomazia nella vita bisognava pur averla e allora mi sono adattata e negli ultimi quattro anni ho dato forse venti dosi di valium alla mia indole, anche se un carattere non si può certo cambiare. Infatti, sento che il can che dorme si sta risvegliando e in questi ultimi mesi ho capito che il senso di ribellione, il non saper accettare certe regole, non deve essere una cosa da nascondere. Scendere a compromessi non è mai stato un buon modo per allargare gli orizzonti.
SYNTH – Io manco pensavo fosse uno strumento. Invece a Natale dell’anno scorso mia zia l’ha regalato a mio fratello e da allora ci sono state moltissime notti in cui, svegliandomi, lo trovavo sui tasti in modalità studio di registrazione. E’ stato lui a insegnarmi ad ascoltare le canzoni a lungo, gli assoli senza parole, ogni singola sfumatura e a vedere quello che da sempre è invisibile: il processo creativo. L’iceberg che sta sotto la punta splendente.
TENNIS – Non sono una persona materialista, anzi. Ma di certe cose che ho perso, durante la mia vita, ho il rimpianto ancora adesso. Il mio tennis d’argento è l’ultimo della lista: è letteralmente sparito durante la Vuelta. Ne aveva fatte veramente di cotte e di crude, era venuto con me ovunque, su e giù dal mio polso alle ceste dei controlli in aeroporto, ai comodini degli alberghi, ai tavoli degli appartamenti. E’ per questo che forse non avrei mai pensato di smarrirlo così. Immolato per una grande eterna lezione: basta soltanto un pochino di attenzione in più per non perdere le cose importanti.
U [INVERSIONE A…] – Kwaremont. Posto di blocco. Situazione: giro delle campagne di venti chilometri per arrivare a un punto dove una tipa ci dice con la proverbiale mancanza di tatto che non possiamo passare. Le dico di sì, torno indietro, faccio inversione, nel frattempo lei è impegnata a parlare, passo a tuono. Così siamo riuscite a vedere il passaggio. Una scena per dirle tutte. E sì, voi avete ragione, si lavora meglio con gli accrediti, si fanno le cose più tranquille…però cazzo, poi cosa avete da raccontare quando tornate a casa?
Vorrei fare un brindisi a tutti gli imprevisti – anche i peggiori – che sono capitati quest’anno: mi hanno ricordato che so cavarmela e che in fin dei conti, come diceva mia nonna, “sono cose che succedono ai vivi”.
VISIONARI – Jack Kerouac diceva che solo i dannati sciocchi non prestano attenzione alle visioni. E credo che avesse ragione, come in un milione di altre cose. Di certo il mondo di oggi si impegna per far crescere grandi imprenditori ma sicuramente non grandi visionari, non è una cosa che apparentemente serve a una società piatta e conformata come la nostra ed è così che abbiamo perso certe connessioni primordiali. Ho provato a prestare attenzione alle visioni ma non è poi tanto facile. Devo essere più costante.
ZONCOLAN – D’Artagnan e tutti i moschettieri: una per tutte, la montagna che forse racchiude il senso della magia che le altre montagne hanno avuto quest’anno. La salita incarna la spiritualità del ciclismo e, allo stesso tempo, anche la sua carnalità, un luogo dove tutti sanno quanto sia labile il confine tra la sofferenza e la beatitudine. Basta poco. La montagna è stata un filo dorato e invisibile come uno spirito, abbiamo mischiato le bestemmie alle preghiere, sussurrate e mai urlate perché bisognava tenere il fiato per il resto. Chilometri di luce e di buio.
Forse tu sai come si dice Ti amo in lingua fiamminga.
Ecco pronunciala ad alta voce per te, da parte mia. Cuori cuori e ancora cuori. Tua. Per sempre, in fiammingo.
Grazie ce lo metto io nella lingua di Mikelino, Eskerrik Asko!
Non lo so ma dovrò rimediare prima o poi ahahaha. Ma almeno so come si dice “grazie”…Danku 😉