No, non è un sogno. La fuori c’è veramente qualcuno che usa il martello pneumatico la domenica mattina. Mi squilla il telefono, sono le otto e non sono sicura di sentirlo davvero, mi rigiro dall’altra parte ma sono ancora sdraiata quando apro Whatsapp. Guardo il soffitto che mi copre dal cielo di Malaga che sono sicura non abbia nemmeno una nuvola.
E’ domenica mattina, così mi dicono che un amico se ne è andato per sempre.
Questi stronzi là fuori continuano a trapanare chissà cosa e io piango senza neanche rendermene conto, così come mi vesto e faccio l’autostrada a neanche cento all’ora, con l’aria condizionata e le colline bruciate dal sole, la striscia di mare azzurro e le case bianche e roventi. Tangeri, dice un cartello. Per un secondo penso a tutte le carte che Burroughs ha scritto là e che poi sono diventate Pasto Nudo, incubi sputati nel sole allucinato del mezzogiorno. Fa caldo, mangio uno spiedino con dentro anche l’anguria – io la odio l’anguria – e in cielo non c’è una nuvola. Azzurro il cielo sopra l’Andalucia e i suoi paesini con le calle deserte, attraversati dall’odore di cose fritte con le pareti sommerse dalle buganvillee. Le colline gialle con gli ulivi luccicanti come una specie di miraggio sonnecchiano nella siesta e ad ogni curva c’è una manciata di gente che saluta. Il deserto, la gente e poi il deserto. Cotti dal sole come se fossero lì da millemilioni di anni. Si sente un forte odore di mirto, credo, il sole scioglie il profumo che arriva ovunque. La macchia mediterranea. Secca come aghi che ti pungono le gambe, quassù sull’ultima curva a guardare il passaggio dentro la valle arida e lontana da ogni cosa reale. C’è un’aquila che vola contro il vento che sferza di caldo il pomeriggio, che piega gli arbusti. Il Grande Uccello del Tuono sopra tutti come se questo posto fosse più vicino all’aldilà che al resto.
Valverde non si ferma, gli corrono tutti dietro per duecento metri giù dalla discesa e poi l’acqua si mischia al sudore, cola giù per il casco, c’è quell’odore come di asfalto bagnato della prima pioggia ma qui non piove da giorni di sicuro. C’è ancora quell’odore di mirto più forte che mai, intenso dentro le narici, dentro lo stomaco quasi. Mi giro e mi sembra di vederlo, è una stupida allucinazione, con le macchine fotografiche e il cappello. E’ un’altra persona ma continua ad assomigliarli.
Peter Sagan arriva sfinito, minuti su minuti, ma fruga per cercare i suoi orsetti, chiede perché l’acqua è troppo calda e poi si avvicina a un bambino che gli chiede una foto da dietro la transenna, ride persino. Minuti su minuti. La gente non lo sa quanto si soffre nel ciclismo, quanto costa una salita, anche di terza categoria. La gente non lo sa cosa diamine riusciamo a fare per nascondere tutto quando si sta male. Gli eroi vincono, niente di più, finita la storia.
Mentre scendo verso Malaga, il lago luccica e l’aquila è sparita, forse non siamo preparati mai a niente, figuriamoci agli addii. Ma io so già cosa avrebbe detto, che mi intrufolo sempre tra le gambe per fare le foto e io gli avrei risposto che è perché sono piccola e in qualche modo devo pur fare. Avrei provato ad abbracciarlo e lui avrebbe detto di no.
Mi avrebbe detto “Fai la brava”
“Sempre” gli avrei risposto io.
“Ti tengo d’occhio.”
“Ok.”