AMICI
Tutti quelli che già avevo, i nuovi che ho incontrato e quelli con i quali ho scoperto un feeling pazzesco. Non smetto di pensare al fatto che questo viaggio mi ha fatto condividere chilometri con persone speciali, con le quali mi sento libera di essere me stessa (e non è da tutti i giorni). Quindi un brindisi va alle risate intorno alle tre di notte, alle birre, al gelo in cima alle montagne, alle incazzature fondate o infondate, alle risse per la transenna, ai litigi con le autorità, alle ortiche, alle patatine fritte, alle colazioni al volo, alle cene in ritardo, al cibo scambiato e ricambiato, ai momenti di eccitazione e a quelli di sfinimento.
Cheers e grazie a tutti voi.
BEAT
“La parola Beat significava Beato”. E’ così che Jack Kerouac spiega come ha avuto la visione del significato della parola Beat. Non tutte le stronzate che affibbiano erroneamente alla Beat Generation, niente di tutto questo. Beato. Lui in una chiesa della sua Lowell con le candele, nel silenzio, i bambini fuori che giocano. La rivelazione di quello che avrebbe voluto dire. Beati per la vita, affamati, incantati, straordinariamente eccitati e stupiti. Come voglio vivere e come vorrei vivere.
Ah sì, il mio prossimo tatuaggio per il nuovo anno.
CÉLINE
E’ raro trovare qualcuno che ti consiglia i libri giusti. Se lo fa, significa che non solo ha capito quasi tutto di te (una cosa relativamente semplice alla fine) ma ha anche capito di quello che hai davvero bisogno per crescere, per proseguire il tuo percorso, per aprire la testa.
“Viaggio al termine della notte” mi è stato consigliato da un amico un po’ di tempo fa, insieme ad altri che ho divorato e si sono rivelati tutti utili, ma l’ho letto per intero solo quest’anno. E’ stato così crudo in mesi crudi, una prosa che apre gli occhi sull’umanità durante dei momenti in cui io li avevo completamente chiusi. L’ho letto piano – è molto lungo, molto corposo e geniale – ma è come certi libri che servono: scavano a fondo, te ne accorgi lentamente, te ne accorgi dopo. Come direbbe quel mio amico: “stanno lì e lavorano”
DULUOZ
Jack Kerouac è l’uomo della mia vita e ancora non ho scoperto come dirglielo. Mi ha sconvolto una, due, cento volte. Negli ultimi mesi, in quei pochi momenti in cui mi disconnettevo dal mondo (tipo sui treni), ho letto la sua Leggenda di Duluoz, una raccolta di brani tratti dai suoi romanzi che lui stesso ha composto, convinto che disegnassero una sorta di storia della sua vita. Un’autentica bibbia per me che sono sempre affamata di prosa che vada diritto al punto senza intermediari, incantata e diretta allo stesso tempo. Di nuovo mi ha detto che è così che voglio essere, è così che voglio scrivere. E’ così che vorrei vedermelo comparire davanti, un giorno, sulla strada a chiedere un passaggio.
Un bacio – con la lingua, ovvio – a te che mi salvi ancora.
EUROPA
Così bella che quest’anno mi è sembrata la città dei balocchi. Anversa ad aprile, la Catalunya ad agosto e poi di nuovo la mia adorata Bruxelles qualche settimana fa con le luci di Natale, i waffle caldi e tutto il resto. Mi sono sentita a casa e allo stesso tempo eccitata come una bambina il giorno del suo compleanno, ho ripensato a quanto ho giocato a quel gioco da tavolo super anni Novanta – penso non esista neanche più sugli scaffali dei negozi – che era “Viaggio in Europa” e usavo sempre la cartina con le figure dei monumenti e delle cose tipiche; mi sono sentita piccola e grande allo stesso tempo. Ho dimenticato il peggio, ho ritrovato il meglio. Grazie, vecchio magico continente.
FIDUCIA
E’ una cosa seria. Più seria di moltissime altre. Come altri anni, anche nel 2017, ho dato fiducia a persone sbagliate. Succede. Poi quando scopri che non dovevi farlo un po’ ci stai male e un po’ cresci. Capisco che son tutte robe che sembrano tirate fuori dal peggior Coelho (non che ci sia il migliore, eh…) ma la verità è che anche con tutta questa super consapevolezza che mi sento ora (yeh) non posso smettere di pensare che la fiducia sia comunque la base per tutto. Per le amicizie, per l’amore, per i progetti. E prima del resto, averne in sé stessi, in quello che possiamo raggiungere. Siamo forti, se lo vogliamo.
GERAARDSBERGEN
Ho imparato che si chiama così. Per i belgi è il Geraardsbergen. Il signore dei muri, il sacro tra i sacri muri del pavè, un tratto di pochi metri cattivo che lo senti persino sotto le scarpe quando ci vai in pellegrinaggio. La mia prima volta sul Muur per eccellenza è stata un’esperienza mistica, la vigilia prima della Ronde, nel silenzio di un pomeriggio di sole e nuvole a respirare il silenzio santo del Belgio, a guardare il suo orizzonte da quella collina con la chiesetta, simbolo del paradiso dopo l’inferno. Ho sentito l’amore.
HOKA HEY
A gennaio mi piace fare (quasi sempre) qualcosa di simbolicamente nuovo su di me. Quest’anno è stato scrivermi Hoka Hey sul polso. Non vi dico le volte in cui i simpaticoni lo hanno scambiato per Okay.
“Hoka Hey” era il grido di Cavallo Pazzo, il capo Sioux che sconfisse il generale Custer a Little Big Horn. Un’impresa straordinaria in nome della loro terra, della loro appartenenza. E’ per ricordarmi che vale sempre la pena combattere con tutta l’energia che abbiamo per quello che amiamo, per quello in cui crediamo. Che bisogna rispettare gli equilibri, ritrovare l’armonia con la Madre Terra. Che ogni giorno si può fare qualcosa di straordinario imbarcandoci in battaglie buone.
Ah, l’ho tatuato sul polso sinistro perché gli indiani d’America per stringere la mano agli amici usavano la mano sinistra, quella del cuore.
IDENTITÀ
Cinque anni fa di blog sul ciclismo ce ne erano veramente pochissimi, oggi la situazione è decisamente cambiata e ho sentito seriamente la necessità di dare a questo spazio un’identità più forte.
“E mi alzo sui pedali” adesso è davvero un diario di viaggio, niente più cronaca seppur vista con altri occhi, solo appunti sparsi di quello che vivo attorno e dentro la corsa. Tutto quello che ho sperimentato quest’anno ha contribuito non poco a rafforzare il carattere del blog e a formare la sua unicità.
LOCA
In senso buono, per tutte le pazzie che ho fatto quest’anno. Per i rischi, le distrazioni, le corsie prese a caso, i viaggi non programmati, i passaggi recuperati per pura fortuna.
Tutti i miei compagni e compagne di viaggio capiranno: siamo stati lochissimi, niente altro da dire.
MINOU
Minou era la nostra gattina di sedici anni. L’ho vista partorire per la prima volta quando ero in quinta elementare ed è stata parte della nostra famiglia per tanto tempo, condividendo le nostre quotidianità, come piaceva a lei, guardando in silenzio, rubando ogni tanto qualcosa di nascosto con un’agilità degna di Lupin.
E’ volata sul ponte un mese fa, lasciandoci tristi, impotenti ma allo stesso tempo sereni perché sapevamo che dopo una vita così intensa e dopo l’ultimo periodo così difficile aveva bisogno di chiudere gli occhi e riposare facendo bei sogni. Quando guardo le stelle penso a lei; polvere di stelle nel cielo, ecco cosa penso che sia adesso, piccola e leggera e brillante nel buio che ci guarda attenta e materna. Adesso è il nostro animale guida da evocare per l’incredibile tenacia che ha sempre avuto, fino alla fine. Le famiglie unite dall’amore restano tali per sempre.
NAMUR
Nel 2015 scrivevo di Namur (qui) come se quel posto avesse un richiamo. Sognavo di andarci, quest’anno ce l’ho fatta e mi è sembrato di ritrovare cose che avevo già sentito, quasi visto in un’altra dimensione: gli alberi alti fino al cielo bianco, il fango nero, la magia di quel circuito nel bosco. E’ stata una delle cose più belle in assoluto di questa stagione, senza contare che il Belgio durante il periodo di Natale è una specie di favola ed è stato come stare in una di quelle sfere di vetro con la neve e il carillon.
OSSERVARE
Che non c’entra niente con il guardare. Fin da piccola sono sempre stata un’osservatrice seriale, forse anche da questo si poteva capire un po’ il destino visto che è la prima cosa che uno scrittore deve fare dopo aver imparato a leggere, anzi forse prima. Ma quest’anno “osservare” è stato anche e allo stesso tempo “sentire”, prestare attenzione a tutto per cogliere la vera essenza, accorgersi persino dei sospiri. E’ stato fondamentale per ricongiungermi al mondo nel mondo, per sentirne le voci, osservare quello per il quale non è abbastanza guardare. Non è abbastanza. Ci vuole attenzione per tutte le cose importanti, altrimenti sono solo il resto.
PUREZZA
Puri, nel senso che non sono toccati dagli opportunismi e dalle bassezze. Ce ne sono veramente poche di persone così ma di sicuro ce ne sono e questo è rinfrancante. In questi mesi mi sono un po’ intristita vedendo che alcune di queste vengono oscurate dall’uso sbagliato dei social, da quelli che i social li gestiscono per conto di. Ma a parte questo è stato bellissimo vedere certi sorrisi che con gli anni non cambiano mai, sono puliti e sinceri, perché la bontà si legge in faccia, esattamente come la cattiveria, l’ipocrisia e la falsità. Auguro ai puri che nel 2018 si accorgano di tutto questo e si circondino della bellezza che meritano.
QUINTO
Come il quinto anniversario del blog. E’ stato importante celebrarlo con l’uscita di “20.000 km – viaggio nel cuore del ciclismo” ed è stato altrettanto incredibile ripensare alla strada percorsa, dirsi che si poteva ottenere di più di sicuro ma sapere allo stesso tempo di aver fatto tutto quello che si poteva fare, senza perdere occasioni, senza paura di perdere soldi nelle trasferte, senza tentennamenti. Ho passato cinque anni a fare cose che non mi sarei mai aspettata di fare, io che son sempre stata una bambina timida, a volte senza neanche il coraggio di salutare. Cinque anni che mi hanno spronato a fare sempre di più, a trovare nuove soluzioni, nuovi piani, perché parliamoci chiaro non esiste mai un PIANO A che duri tutta la vita. Esiste un sogno e mille piani possibili immaginabili per raggiungerlo.
RONDE
La seconda volta ancora meglio della prima. Non è che c’è molto da fare, il Belgio più lo vivi e più lo ami. Quest’anno il Kwaremont mi è sembrato un mega concerto all’aperto, le patatine erano ancora più croccanti, il ketchup più saporito e la piazza di Anversa con la gente che acclamava Tom Boonen come una rockstar mi ha messo i brividi. Dovrebbero inventare almeno un altro centinaio di parole per descriverlo ma non si può. Semplicemente è la Ronde.
→ “We found love in a hopeless place”
STUPORE
Qualcuno crede che da adulti non esista più. Di sicuro il disincanto serve ad affrontare la vita ma non per godersela. Trovare qualcosa che ci stupisca davvero nel profondo, che ci faccia sgranare gli occhi, che ci faccia sentire eccitati come bambini davanti a un giocattolo è una specie di benedizione e a me, per fortuna, in questa stagione è capitato più di una volta. E’ stato strano e bellissimo. E mi ha aiutato a scrivere senza filtri, con innocenza e consapevolezza.
TORTINO AL CIOCCOLATO
Penso di averli provati in tutti i posti possibili, da Siena a Bruxelles con in mezzo un anno di cucchiaini affondati nei dolci per vedere se davvero erano cremosetti al punto giusto. Sta di fatto che il mio dolce preferito mi somiglia molto, un cuore morbido che si scalda solo con la temperatura perfetta. Ancora una volta il viaggio e il ciclismo sono stati il mio fuoco. Mi sono sciolta, lo ammetto.
UMANITÀ
Ne ho vista così tanta. Ci ho litigato a volte, mi sono commossa. Il ciclismo è un grande romanzo corale pieno di incredibili individualità e questo è un vero parco giochi per una che scrive. Gli attimi di estrema dolcezza si sono mischiati con gli istanti più duri, crudi e tristi; ho incontrato le tradizioni, i dialetti, le lingue, le abitudini, il modo di accogliere e quello di respingere. In tutti loro ho trovato da imparare, persino il più stronzo mi ha insegnato qualcosa, forse l’ho capito dopo ma non importa. L’importante è capire.
VUELTA
La mia vera sfida. Organizzare un viaggio per seguire una corsa che non avevo mai visto, in un Paese che non avevo mai visto. E’ stato straordinario, ha tirato fuori spiritualità ancestrali e il mare lungo settecento chilometri di costa mi ha riconnesso degli strani fili con l’altrove. Ho sciolto dei tabù e ho avuto una sensazione di libertà senza confini.
ZINGARA
Come mi ero ripromessa a gennaio, ho contato tutti i chilometri di questa stagione (report completo qui) e sono arrivata a 9.606 trascorsi al gelo, al vento, al caldo torrido, sotto la pioggia. Sono stata zingara sudata o infreddolita con le valigie, gli zaini strapieni di cose utili e inutili, con sempre troppo poco spazio per quello che ritenevo importante. Forse qualcosa di essenziale l’ho capito, o forse no. In fondo mi piace così, attraversare il cuore del ciclismo, come se la mia casa potesse essere in tutti i luoghi toccati da una corsa, qualunque essa sia. In fondo mi piace non avere piani, pensare che la fatica e l’impegno forsennato siano le uniche basi per ottenere di poter vivere con passione. Tutto dipende dall’oggi.