Piove a tratti, brevi acquazzoni estivi che rendono le strade dei passi lunghe lingue nere vegliate dai camper bianchi come in una processione, le bandiere che sventolano nella burrasca delle nuvole grigie che fanno assomigliare i versanti a certi posti delle pagine di Jane Eyre. Ci corre sopra il vento, ci saltano i bambini, qualcuno di loro quando si accorge che la nostra macchina ha la targa italiana arrotola insulti, fa il gesto dell’ombrello.
Piccoli stronzi.
Niente partenza stamattina, una colazione con una brioche con la pasta già preparata e un giro quieto in un paesino dove c’era il mercato, con i libri usati, i vecchi EP e la frutta divisa in cassette di legno. Pommes de terre. E gatti vagabondi con gli occhi verdi a curiosare per le vie, o forse a controllare che tutto sia a posto come sempre, di giardino in orto, di orto in giardino: guardiani ossessivi delle abitudini.

autrans gatto

Adesso il tempo è cambiato, adesso la gente che aspetta sui GPM di oggi si chiude nei k-way, si rifugia nei camper. Mancano così tante ore, che quando aspetti il tempo si triplica, si diluisce, non lo distingui più. C’è uno vestito da Obelix su la Croix de Fer, un gruppo di ragazzini con le maglie a pois, drogati dalla strana adrenalina dell’attesa, lo incita come se fosse un corridore.
Obelìx, Obelìx, Obelìx.
Alla signora della Boulangerie ai piedi del Galibier dico che va bene così, non è necessario che mi scaldi la pizza. No, mercì. E non so neanche perché le ho detto di no. A duemilaseicento metri forse qualcosa di caldo serviva. Invece la cima della montagna è brulla e deserta e grigia, la guardo dal finestrino della macchina mentre mi infilo un paio di jeans lunghi. Non c’è niente, il telefono non prende, l’aria taglia in due. E’ uno sbarco sulla luna, in pratica, un posto per cavalieri su destrieri volanti alla ricerca del senno perduto.
Poi ci son cose come miraggi, una divisa che sembra familiare. “Carabinieri” c’è scritto rosso su nero. Parla italiano, l’accento di Torino, grazie al cielo. Trova lui un passaggio per scendere poi fino a Briancon dopo la corsa. La salvezza. Perché poi il ciclismo è così, diventi incosciente: c’è il passaggio prima di tutto, al resto non ci pensi, il resto si vedrà.
galibier tour de france
Il Galibier è una cresta deserta, ai meno trecento ci saranno cinquanta centimetri tra le transenne e il ghiaione che sprofonda fin giù, fino a un maledetto bar che hanno messo proprio lì, a due chilometri dalla vetta. Le curve, altri camper, le bandiere, le scritte bianche fatte con il rullo forse la sera prima. Qualcuno guarda con il binocolo, la carovana passa, i francesi si rubano i gadget come iene, un vecchietto con gli scarpini e il completino da ciclista che non so come faccia a non essere ancora assiderato, scende come una capra di montagna per il dirupo a recuperare un portachiavi. Ridono e sfottono tutti. Ça va Bardet, dicono.

A un certo punto non li ascolto più, vedo la gente curva nelle mantelline striminzite, qualcuno si è portato quelle coperte che danno ai profughi, luccicanti e scoppiettanti a ogni folata di vento. Lo spirito del Galibier è cupo e arcigno, le ore sono eterne, ci sono gli indiani sull’altra cresta della montagna, siamo indiani noi stessi ad aspettare un puntino comparire in fondo alla valle, laggiù dove adesso c’è uno squarcio di sole. Un elicottero. Si vede tutto, il serpentone che sale fin qui, il verde che si trasforma in grigio, sassi dove hanno pure avuto il coraggio di piantare tendine da campeggio che sembrano dover volar via da un momento all’altro. Il puntino è giallo, là in fondo. Lui, Primoz Roglic che sale da solo con il corteo della montagna, i fumi delle griglie come segnali, un’ ombra sull’asfalto pieno di scritte. Sta uscendo il sole, riesco a pensare solo a quello. Certe volte l’attesa ti fa perdere tutto, ho come l’impressione che il gruppo stia passando ma io sto ancora aspettando qualcosa. Non parla a me questa montagna.
galibier tour de france
Adesso sulle cime aguzze e lontane scende la luce rosea del tramonto, il piccolo parcheggio è deserto, se ne sono andati tutti. Due ragazzi in maniche corte trascinano le transenne del GPM sul camion. Le sei. Per scendere ci impiegheremo tre ore e mezza. Mentre siamo in coda sull’unica strada che porta a Briancon, i ragazzi del passaggio parlano di cose che mi mettono un po’ di nostalgia. A volte quando sei in viaggio ti chiedi il perché, ti sembra di voler stare da un’altra parte.
Scende il buio sulla valle, piove e poi smette, ci sono le luci delle macchine semi immobili davanti a noi, la connessione funziona a tratti.
E’ sempre più lontana la luna, stanotte.

 

🎧 R.E.M – Losing my religion (1991)

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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