“Per chi ci ha messo il cuore e altrettanto cuore non ha trovato. 
Siamo qui con voi e, nonostante tutto, come voi siamo vivi.”

(Giorgio Faletti)


La spiaggia di Copacabana è così lontana da quel tuo giardino dove razzolano le galline nell’aria quieta prima del tramonto. Il Belgio è dall’altra parte del mondo. Eppure, alle volte, le cose non sembrano così distanti. Alle volte senti che il destino che certe strade ti hanno inciso dentro non si staccherà mai da quello che sei, neanche dovessi fuggire su un altro pianeta. Non basta un oceano a farti dimenticare te stesso. O quello che vuoi davvero.
In fin dei conti il Nord è sempre il Nord, da qualsiasi parte giri la bussola. Resta fermo anche quando perdi l’orientamento.

E’ che Greg Van Avermaet il Nord ce l’ha dentro. E questa è una fortuna. Avere la direzione che va di pari passo con il cuore e con la testa significa che hai le redini giuste, nonostante tutto. Greg ha sempre corso così, come su queste strade tra salite e discese dove si curva la foresta semipluviale, tra le chiazze di sole e quelle di umido sull’asfalto. Dove le curve fan cadere come birilli, dove devi fare tutto da te. Tenere a bada lo stress, staccarti, recuperare, attaccare. Lui ha sempre corso così, con quell’attitudine da infinite corse di un giorno, dove devi stare lucido fino all’ultimo istante. Dove devi credere, credere come un pazzo. E chiedere alle gambe di non implorare più, di tentare tutto per quel traguardo che è il tutto.
Che il ciclismo è un viaggio di polvere, di sudore, di sofferenza lo sa fin troppo bene. Lui cresciuto per quelle campagne tagliate in due dalle stradine in pavè. Tranquille e poi cattive, cattive fino all’inverosimile quando sono il lasciapassare per il sogno. Greg conosce le due facce di questa medaglia.
Non vincente, lo chiamavano. Perché si dice così a quelli che sono così vicini e in un attimo così lontani. A quelli che ci mettono tutto e poi non arrivano. A quelli che fanno emozionare sì, ma non abbastanza.
Ma il ciclismo ti costruisce con i bocconi amari mandati giù a forza. Lo fa per vedere quanto ci tieni, per dimostrarti quanto sei forte quando ami davvero.
Non c’era pavè lungo quella discesa, lungo quel rettilineo tutto uguale a fianco della spiaggia bianca, del mare azzurro. Nemmeno un metro. Eppure Greg ha capito che bisognava fare finta che ci fosse. Che quello fosse il suo Belgio, così lontano, così vicino.
Come Majka laggiù in fondo e tutti gli altri al suo fianco che cercavano di capire cosa fare. Certe volte i calcoli rovinano tutto. Davanti a un bivio serve solo l’istinto. Cinque chilometri e dodici secondi. Con lui c’è Fulglsang. Si aiutano, sarebbe da stupidi non darsi il cambio, significherebbe aver già perso ancora prima di averci provato.
C’è quel rettilineo infinito, c’è Majka nel mirino come una preda. Quei metri chiedono solo di resistere e Greg lo sa fare bene, sa farlo tenendosi qualcosa per sè, per l’ultima mossa. Un ultimo disperato volo. E’ così che funziona il ciclismo: dai tutto e devi averne ancora. E ancora.
Riprendere Majka, vederlo stanco, coi muscoli gonfi e la faccia smagrita dallo sforzo, dalla fatica. Sentire che ancora una volta quello è il momento dell’istinto. Che oggi nessuno ti rimprovererà di aver avuto troppo cuore, di averci messo tutta l’anima da sentirti quasi vuoto.
Sentire che quella volata è l’ultimo istante di lucidità che vuoi sfruttare. Che tutto si annulla. Che è così che vince un non vincente. Che uno, a rimaner sé stesso, non si perde mai.

La spiaggia di Copacabana è così lontana dal silenzio delle tue strade di casa, Greg. Eppure sembra tutto così vicino adesso. Adesso che hai la medaglia d’oro al collo e tieni la bandiera del Belgio con due mani, che sorridi di quel tuo sorriso non troppo plateale, quasi timido. Adesso che tutti dicono di averci creduto.
E’ tutto come sempre, alla fine. La faccia sporca di tutti i chilometri inventandosi un modo per arrivare fino a lì, l’istinto senza le briglie, la fede cieca.
E’ tutto come sempre. Sappiamo già quello per cui siamo fatti, dobbiamo solo crederci.

 

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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