Il Belgio dall’aereo è un po’ come lo vedi in televisione, solo che non riesci a immaginare che davvero, adesso, tra te e quelle distese di campi divisi da stradine come solchi di matita, ci sia solo uno strato leggero di nuvole. Un velo di carta, una spolverata di zucchero, una coltre di nulla.
Tante volte succede che immagini così tanto un luogo che ti sembra di conoscerlo. Lo riconosco questo Belgio ferito eppure bellissimo. Riconosco le casette di mattoni rossi e gli infissi bianchi come il cielo di oggi. Riconosco i fossi che tagliano in due la campagna e il silenzio. Riconosco tutto come se l’avessi già vissuto.
D’altronde, scrivere è vivere oltre la vita.
Ieri mattina in Italia sentivo che alla radio dicevano che questo sarebbe stato un grande weekend di motori. Qui la radio parla ininterrottamente e sempre c’è la parola The Ronde. Il Fiandre numero cento, la gara che forse è davvero il cuore pulsante del ciclismo in un posto dove il ciclismo è tutto. Bruges è un paese piccolo e incantevole, un po’ come Oudenarde. Gente che passeggia e si ferma a guardare le vetrine con i cioccolatini incartati come anelli, le scatole piene di macarons, le lavagnette che segnano i menù vicino a un vaso di fiori.
Due poli opposti e vicini, che tirano il filo invisibile di questa corsa che passa per i muur. Lingue di pavè strette tra case con i tetti grigi e spioventi e giardini verdi dove starnazzano di tanto in tanto oche bianche e asinelli tranquilli.
La vigilia qui ha quel sapore lievemente amarognolo, ruvido di quando un sorso di birra ti resta in gola. Ha il silenzio spaccato qua e là da cornacchie lontane. Ha l’immobilità di quelle pietre tutte storte, tutte diverse, eppure tutte in fila, come un mosaico fatto male. Uno può anche non crederci, a vederle. Non ci si crede che quelle pietre sono l’inizio di tutto. Che nessuna salita può decidere un Fiandre davvero. Sono le pietre a decidere. Quei sassi immobili che ascoltano l’aria fredda che c’è quassù, sul Kwaremont. Un pezzo di mondo che il ciclismo ha scelto. Per amore. Perché questo è uno sport che si fida solo della fatica. Che si innamora dell’imperfetto. Imperfetto che poi significa unico. Come tutto quello che, nelle cose che amiamo, ci scalda il cuore.
E’ che quando il ciclismo ti sceglie, allora lo fa per sempre. Questo silenzio, questi cancelli bianchi semi aperti, i giardini così verdi, le chiese così grigie e così appuntite verso il cielo, parlano di quello che sarà domani. Della gente, dei leoni neri sulle bandiere gialle, della birra, delle urla, di quel fiume umano che si avvolge attorno a chi passa da lì, da quel muro, dal primo all’ultimo.
I camper a bordo strada sono deserti, sventolano bandiere nel pomeriggio, sventolano da sole in questa aria fredda, aspettando. L’attesa. Che qui ha un sapore sacro. Che ha il colore della terra scura ai bordi delle strade. Linea nera tra il pavè e la campagna. Linea di confine tra la realtà e il sogno.
Buonanotte, Belgio. Il silenzio dei muri sarà la ninnananna di questa notte prima della Ronde numero cento. Quello che ci diremo domani non lo so. Cosa si dicono due innamorati pazzi quando si incontrano per la prima volta? Forse niente. Si guardano, si ascoltano.
Si amano.
SUL GIRO DELLE FIANDRE 2016:
♥ FLANDERS 100 | La corsa
♥ FLANDERS 100 | Goodbye
♥ FLANDERS 100 | PHs