Google devia il percorso senza che io glielo abbia chiesto. Esco ad Arenzano per evitare l’ennesimo rallentamento sul bivio per Milano mentre l’orizzonte è una linea blu diritta che separa il cielo dal mare, nella loro ultima eterea luce.
Mi chiedo perché cazzo sia finita in un’altra stupida coda di quaranta minuti lungo la costa. Poi capisco. Guardo il cartello della deviazione: c’è scritto Turchino. Improvvisamente è notte mentre gli immensi piloni dei viadotti diventano porte per l’altrove e la strada comincia a salire verso il passo. Dal buio emergono vecchie trattorie abbandonate dove dondola un’unica luce. L’orizzonte resta chiaro mentre appaiono le costellazioni sopra le montagne nere. Ripenso a stamattina, quando sentivo una signora raccontare al telefono che aveva visto la partenza del Trofeo Laigueglia e aveva provato un certo brivido di emozione in tutto quel piccolo caos, l’elicottero e le macchine, i ciclisti. Volevo girarmi e dirle di non permettere a questo maledetto stronzo di prenderle il cuore, va a finire che lo ami da starci male come succede sempre con le cose che sanno arrivarci dentro fino in fondo nel tempo di un solo secondo. Avrei voluto dirglielo di non farsi fregare. 

Adesso i fari della macchina illuminano i pali gialli e neri, filiformi testimoni che qui la neve d’inverno copre tutto, persino i pensieri, persino la realtà. Su una curva, al di là del guard rail c’è una piccola nicchia nel nulla illuminata da una candela tremolante e poi una stella cometa brilla sulla facciata di una Chiesa. Natale è passato da un pezzo ma qui sembrano non essersene accorti. A dir la verità sembra che il tempo non sia passato mai. Certi deliziosi crudeli fantasmi tornano ad accarezzare le cose rimaste in sospeso, come se non ci fosse distanza tra adesso e ieri. O come se l’infinita distanza avesse trasformato tutto in un sogno irreale. Passare il Turchino alle sette e mezza di sera in un giorno in cui la Sanremo non c’entra apparentemente niente è come un’allucinazione.
Penso a poche ore prima, a Laigueglia con i suoi vicoli semideserti da dove occhieggia il mare triste con i gabbiani affamati, proprio come chi scatta sui GPM, continuamente al contrattacco, perennemente avanti come se persino la bici fosse un impedimento per andare più forte. Scattare a qualunque costo. Quando scatta Bauke Mollema – e poi quando vince – rivedo i suoi tifosi in un giorno di luglio che gridano il suo nome. Era la mia prima volta al Tour de France.

Il cartello dice “Passo del Turchino” e la strada comincia a scollinare verso Masone con le classiche curve cieche dove ti immagini esattamente quelli che sanno fiondarsi giù a pancia sul telaio come se non avessero paura di niente. Bucano il buio, sfiorano i fari della macchina, tentano il tutto e per tutto, come se il tutto non fosse abbastanza. 
Improvvisamente la strada si fa piana e prende le sembianze di una di quelle vecchie vie dei western. Non riesco a credere che qui, oltre a un ventoso e grigio e scarno rifornimento, esista anche un pittoresco paese con una trattoria ferma al 1950, con le lunghe tende dietro le quali luci soffuse invitano ad entrare, forse dimenticando che adesso esiste il coprifuoco.
Riprendo l’autostrada, la Liguria tutta è alle spalle e mi dico che probabilmente quando il sole tornerà ci troverà ancora aggrappati qui. Noi gli diremo che abbiamo pensato a lui ogni volta che le onde ci gelavano le ossa e avremmo voluto lasciarci andare al mare, lasciare perdere.
Ma per qualche assurdo motivo abbiamo resistito.    

"Nel sole" è la prima canzone di Albano Carrisi. 
Fu registrata per la prima volta durante la puntata zero del programma "Sette voci" ma la Rai disse che quel format non sarebbe mai piaciuto al pubblico e la chiuse in un cassetto. 
Un giorno qualcuno rubò la cassetta di un episodio di Rin Tin Tin, nessuno sapeva cosa mandare in onda e riesumarono quell'episodio. Il successo della trasmissione fu clamoroso e Albano passò da essere uno sconosciuto ad una celebrità da fermare per la strada.
Il destino aveva pensato a tutto.