I pesci nuotano in un acquario rettangolare con l’acqua melmosa e verde, di quando si rompe il filtro per il ricambio. Peccato che in questo discutibile bar sia già entrata una volta, lo scorso anno, e quei poveri esseri continuino a boccheggiare nella stessa schifosa acqua da dodici mesi. Se ci fosse il telefono azzurro per i pesci, l’avrei già chiamato. In realtà sono gli animali più bistrattati dopo i ragni o chissà cos’altro, figuriamoci se a qualcuno importa di loro.
Ma almeno lo sanno che cos’è il mare? Con quegli occhi fissi e rotondi, stanno forse sognando di sentire l’acqua limpida sulle squame mentre galleggiano nell’angolo sotto la televisione dove non arriva la luce manco a mezzogiorno?

Là fuori, l’azzurro occhieggia in fondo ai vicoli. Un tunnel e in fondo la luce. La Liguria è esattamente così, bella in modo folgorante da una parte, ombrosa e crudele e un po’ vile dall’altra. Viene il profumo della focaccia appena sfornata, si mischia all’odore umido dell’impiantito del vecchio borgo. Un quadrato di sole dove luccicano gli aranci, una striscia di ombra dove pisciano i cani. E l’alito freddo che esce dai pertugi delle case dove si vedono scale strette che salgono fino a quei balconcini che danno sul mare dove si appoggiano i gabbiani. Sì, ma come deve essere guardare la luna da lì, quando è piena?
Gli uccelli bianchi come aironi volano sulla testa di un pescatore che arrotola pazientemente una rete. Non sono aironi, quelli non volano mai in gruppo, dicono che siano una presenza divina e io mi sento un po’ benedetta quando ho il privilegio di vederne uno. Ma forse pochi riescono a cogliere le benedizioni.

Guardo il mare illanguidito e stanco per la luce di un sole pallido dietro le nuvole, sale l’aria sulle colline, ondeggiano gli olivi. A pochi passi lontano dalla costa ecco l’odore dell’entroterra in silenzio, dei terrazzamenti con gli alberi di limone, la mimosa in fiore. Ma com’è che si fa a tenere quiete le ombre, come fa questa terra con il suo mare adesso, laggiù a larghe onde calme, con le nuvole grigie che incombono dalla montagna. Io non lo so come si fa a boccheggiare nel tunnel pensando alla luce.
Simone Velasco ha attaccato sul primo passaggio al GPM: sono secche queste salite, non lunghe di certo, ma spaccagambe come certe pendenze improvvise e stronze che ci sono in Brianza da noi. Un tornante, vedi il mare, imprechi, una signora ti dice di non mollare. Ma lei che ne sa. Di quanto si fa fatica a vincere e poi accettare di non poter vincere più. Di quelli che ti fanno credere che sei una promessa e poi non sai neanche più cosa promettere a te stesso. Cosa ne sanno di cosa fa il ciclismo quando decide di crescerti senza pietà. Quando ti dice che gli alti e bassi fanno più male dei mangia e bevi, non ti spezzano le ossa, ti spezzano dentro. Quaranta secondi. E quella sensazione a metà, tra quando sei euforico perché in salita voli e quando ti senti uno schifo perché arrivi ultimo anche dopo te stesso. Quella stupida sensazione di vertigine che hai quando sei sulla bici e l’unica cosa a cui ti devi aggrappare, l’unica cosa vera che esiste quando sei lì è – e resta –  la fatica. Dio, l’immensa, sublime fatica di resistere a una rimonta. Non è vero che la gente non lo sa. Loro lo abbracciano dopo la linea bianca, gli saltano intorno e lui piange, piange così tanto che fa piangere anche loro. Che lo sanno quanto cazzo è stata dura fino ad ora. Non oggi. Ieri, l’altro ieri e l’altro anno ancora. I confronti uccidono, sono loro a farti entrare nei maledetti tunnel. Specialmente quelli che ti crei tu.

Le luci dei paesi abbandonati sulla montagna si accendono sotto ai viadotti immensi. Penso a quando ti tuffi nelle acque profonde e c’è il riflesso del sole che ti sembra una specie di lanterna sul fondale che non vedi. Forse la verità è che continuiamo a essere pesci in acque melmose che sognano di nuotare in mare, di dormire sereni sotto le stelle ed essere felici.

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.