Non so esattamente cos’è che mi manca del Belgio quando sono via. Un po’ tutto forse, quell’allure magica e leggendaria che sa dare al ciclismo, la passione credo, le case di mattoncini con le finestre grandi dove immagino sempre che entri tutta la luce del mondo e che dentro ci sia gente felice, piena di casini magari ma comunque felice. Il Fiandre è la mia storia bella. I tifosi che urlano, i ragazzi ubriachi, l’odore delle frites mischiato a chissà cosa. L’odore dei muur.
Ah, in totale – e per svariati motivi – abbiamo percorso 1.298 chilometri. E non fateci caso se alcuni luoghi sono fuori luogo appunto, nessun viaggio ha bisogno di punti cardinali fissi, quelli sono per i marinai esperti, noi abbiamo troppe cose da imparare ancora. Sulle stelle, sull’istinto.

PLAYLIST 🎧

♥ Alice Cooper – Poison
Red Hot Chili Peppers – Californication
♥ Nirvana – Come as you are

WALLERS

Appena varcato il confine con la Francia comincia a piovere e io non mi fido dei navigatori integrati nelle macchine. Puntiamo la Foresta di Arenberg con Google che mai ci ha tradito in vita sua e non penso lo farà per i prossimi duecento anni. Che siamo vicine si capisce subito, gli alberi alti e neri che fanno sembrare la strada una specie di intro di Shining – ho visto solo la intro – e poi quella specie di sensazione che ti dice di essere arrivata dopo un viaggio cazzuto durato un’eternità. In un certo senso è così. Ma la fine della Foresta è deserta, non c’è niente attorno, non è questo che volevo. Il bianco infinito là in fondo e il cartello che dice “Trouée d’Arenberg”
Un’altra macchina fa inversione, continua a piovere.
Dove diavolo è la vecchia miniera?
Penso a quando fanno vedere la foresta dall’alto.
Fosse d’Arenberg.
Digito su Google e poi è tutto più chiaro. Adesso sì che riconosco ogni cosa: la strada, le case tutte uguali, una a fianco all’altra, le finestre basse con gli infissi bianchi. La Miky dice che le ricorda Crespi d’Adda e ha ragione. Era un villaggio di operai anche questo, quando la miniera funzionava, quando il carbone ha avuto anni e anni per mischiarsi con la terra per sempre. Mi sembra di conoscere il tragitto a memoria adesso, la curva a sinistra e poi la chiesa, altre case, la sagoma inconfondibile della struttura oramai immobile, dei suoi scheletri grigi fino al cielo. Io e la mia immaginazione siamo qualcosa fuori da tutte le regole logiche e razionali.
Prima, quando ti innamori del ciclismo, piangi ad ogni fuga, poi con il tempo ti abitui ma esistono cose che ancora hanno quel potere delle prime volte. Così succede, mentre in radio parte come per miracolo Poison di Alice Cooper e la Foresta è là davanti, in fondo alla strada, infinita, velata dai tergicristalli che spazzano via la pioggia in un giorno in cui per forza doveva piovere. Dopo così tanto tempo, dopo così tanti chilometri, eccola lì, muta come se con quel silenzio volesse chiedere dove diamine sia stata fino ad ora. Non lo so. Ma so che l’incanto è un’esperienza mistica, non andrebbe sottovalutato mai.

Il primo tratto della strada che attraversa la foresta è il più duro, i sassi sono più larghi, più alti, più sconnessi, fai fatica persino a camminarci sopra. Ci sono due che stanno tirando via l’erba dalle fessure, la tagliano e poi lucidano pietra per pietra, un lavoro infame ma quando passiamo si fermano e ci salutano. Bonjour.
Trascino la Miky sopra il ponte dove sono rimaste le rotaie dei carrelli che piano piano la natura si sta rimangiando. Non si può tornare a casa senza aver fatto QUELLA foto e mentre sprofondiamo nel fango nero, mi chiedo se sia normale che il muschio che cresce ai lati della strada sia verde come se venisse dalla centrale di Springfield. Surreale. Come l’impatto con la foresta che lascia un po’ intontiti, facendoci quasi dimenticare che non abbiamo mangiato. Quasi dico. Entriamo in questo ristorante non lontano e matematicamente la signora non parla inglese. Ci sono tazzine di tutti i colori appese ai cornicioni del soffitto, le finestre che danno sul giardino gocciolante di pioggia e poi quadri con foto di ciclisti in bianco e nero.


Ma la signora non parla inglese. E non c’è neanche un menù, cosicché ci dice tutto a voce e cerca di spiegarci i piatti a gesti. Le dico: “no fish” poi “fromage”e boh, faccia lei a sto punto. Alla fine restiamo ad aspettare – affamate – qualcosa che neanche sappiamo cosa sia. Arriva un piatto misto che, a parte l’insalata belga cotta che odio, è tutto buono. La torta di pane e formaggio e uovo penso sia tipica di qui, la signora dice qualcosa del genere. E’ super gentile, capisce che siamo qui per il ciclismo – comincio a pensare di avercelo scritto in faccia – ci dice delle cose che non capiamo ma lo fa con un sorriso molto dolce, quello almeno è universale.
Fuori ha smesso di piovere.

L’Auberge Des Cigognes
Rue Jean Jaurès 121
59135
Wallers

ROUBAIX

Non è detto che per sentire l’anima della corsa tu debba stare per forza nel mezzo. O meglio, certo sarebbe la cosa migliore ma per ascoltarne il respiro serve stare in silenzio, lontano – molto lontano – dai giorni della corsa stessa. Un po’ come andare al velodromo di Roubaix una settimana e tre giorni prima della Paris-Roubaix. Un posto assolutamente normale se non fosse che il ciclismo, ancora una volta, si sia messo di mezzo. C’è il vento, molto vento, scompiglia tutto e piove a tratti. Hinault disse chiaro e tondo che considerava questa corsa una stronzata e forse, razionalmente, non aveva tutti i torti.
Ma non sta forse nell’irrazionalità la vera bellezza?
Questo velodromo ha una striscia azzurra attorno alla pista che tutti venerano come la Cappella Sistina. Non c’è affrescato nessun Giudizio Universale, eppure resta come quelle opere inspiegate e mi fa pensare a quando dicevano che un Rothko lo devi vedere da vicino per esserne avvolto, solo così lo puoi capire. Beh, non ho mai visto un Rothko dal vivo e lungi da me fare metafore sceme sull’arte che sono già trite e ritrite ma forse è un po’ così adesso, adesso che quella linea azzurra è qui a due centimetri dalle mie scarpe, ci cammino sopra, ci sono dentro maledizione. Usciamo dal velodromo, ripercorriamo al contrario gli ultimi metri, un rewind lento per trovare l’ultimo tratto di pavé con i nomi dei vincitori che sta in mezzo a due strade trafficate e ci sono parcheggiate sopra le macchine. Cerco Greg, l’ultimo che è diventato primo, mi piacciono le storie della gente che si redime da sola attraverso l’inferno. Sembra un gioco, tutti i nomi come carte di un mazzo sparse tra i mozziconi di sigaretta dimenticati e le foglie fradice. Ma il ciclismo non è un gioco, lo sanno tutti. Non puoi far finta su niente.

ROESELARE

Se c’è una cosa sulla quale in Belgio non puoi sbagliare – a parte la birra ovvio – sono i dolci. In qualunque buco di posto tu vada puoi star sicuro che i croissant saranno caldi e burrosi. Non si può dire altrettanto per il caffè che io evito tranquillamente anche in Italia ma non posso certo permettere che la Miky cada in preda a una crisi-da-astinenza-da-caffeina. Perciò cerchiamo una tea room a Roeselare per prendere qualcosa di caldo e vediamo che le signore anziane sedute ai tavolini sorseggiano tazze di latte schiumoso.

Matuvu
Grote Markt 5
8800
Roeselare

Di sicuro anche qui hanno il concetto di espresso un attimino spostato dal reale ma hanno una vetrina piena di torte e pasticcini e nella lista ci sono i Pannenkoeken che in pratica sono una via di mezzo tra crepes e pancakes.  Io li voglio assolutamente. Peccato che qua nessuno li mangi a colazione e li facciano solo dalle due del pomeriggio. Addio, ricasco sul pain au chocolat che almeno è una garanzia: deve pur esserci qualcosa di sicuro a questo mondo. Una cosa che mi piace assai è che ti portano cose che non hai chiesto, tipo regalini gentili, una roba che da noi è già tanto se ti danno il cioccolatino al caffè per togliere il sapore di caffè (eh?). Stavolta tocca ad una mini porzione di tortina paradiso. La addento. Sa di fungo. Ok, ma è il pensiero che conta no?

KORTRIJK

Lo dicono tutti che Kortrijk (o Coutrai in francese) è bellissima. In giro per la città ci sono statue di cavalli, penso c’entri qualcosa la Battaglia degli Speroni d’oro del 1302 nella quale i fiamminghi si ribellarono al dominio francese. Così tranquilla questa terra eppure con il sangue infiammato da secoli contro i padroni senza diritto. Dolce, quieta ma anche fiera e orgogliosa e ostinata. Forse è anche per questo che mi piace.
C’è profumo di waffles caldi e il signore con il grembiule nero ci traduce tutti gli ingredienti e le tipologie, c’è quello tipico di qui con lo zucchero nell’impasto oppure il classico di Brussel con lo zucchero a velo sopra. Scelgo gli ingredienti puramente a caso e resto a guardare la panna che si scioglie sopra la glassa al caramello e al cioccolato poi sento che ci sono sapori che non dimentichi più e che ti mancheranno sempre: vorrei fare merenda così ogni giorno.

Wafel Atelier Kortrijk
Grote Kring, 7
8500
Kortrijk

C’è il lunapark in centro, esce il sole d’improvviso dalle nuvole, illumina la chiesa imponente e chiusa con un’entrata che sembra un trip. I cavalli bianchi girano intorno, brillano gli specchietti che hanno sul dorso, sulla sella. Sembra di essere in un angolo di una fiaba o qualcosa del genere.

C’è odore di frites e di zucchero filato mischiato insieme. Mi viene voglia di mangiarlo ma ho sempre l’impressione che quella roba mi faccia cadere i denti. Forse vorrei un cono di patatine ma questo pomeriggio sono indecisa su tutto, persino sul fatto che la giostra che spara in aria la gente come un’altalena nel vuoto alta dieci metri sia adrenalinica oppure terrorizzante. Probabilmente entrambe le cose, ed è questo il punto. Anche nella vita.

ANVERSA

Sì lo so, è quasi un reato fare colazione al Mc Donald’s il giorno del Giro delle Fiandre ma non è colpa nostra se tutto qui apre alle 9.00, persino Starbucks, da non credere. Mi fanno un sacco tenerezza quei due biscottini Lotus incartati con la M gialla, mi scotto la lingua con il tè bollente e poi piove ma la Miky si tiene imperterrita i suoi occhiali da sole in testa come una specie di sfida, c’è l’aria fredda fuori, un ubriaco barcollante, le bandiere gialle con il leone nero affacciate sulla piazza.

Anversa l’ho già vista, ha uno sguardo diverso ma è sempre lei. Stavolta non c’è il sole, stavolta c’è l’aria del nord che fa sembrare tutto una specie di mattina di Natale. Ma è Pasqua. La gente distribuisce le bandierine gialle, i cappellini e io non mi sento più le mani per il freddo. Ma c’è un calore che non si potrà mai descrivere in nessun diario di bordo – neanche uno scalcinato come questo – ed è quello della gente in piazza per questa festa. Due conigli giganti lanciano ovetti di cioccolato dal palco, non rimarrà nemmeno un superstite, qualcuno dal mezzo tifa Gianni Moscon – boh – e quando salgo su una panchina per vedere meglio, il tipo di fianco a me dice che ho scelto un posto perfetto e mi chiede da dove arrivo. Italy, dico e lui si stupisce.
Da così lontano per essere qui.
A dire il vero ho fatto di peggio, ma gli sorrido e alzo le spalle. Cosa ci vuoi fare, siamo tutti nella stessa barca.  Quando la corsa parte resto nell’imbuto di gente ma quando ne esco prendo al volo un pezzo di crepe con la nutella che offrono fuori da un caffè e fermo il signore che vende le bandiere. Quelle grandi. Era il mio obiettivo di giornata.
La gente beve la birra in piedi ai tavolini. So che poi dovrò buttare l’asta e ripiegarla in valigia, non posso mica portarmela in aereo per intera ma per adesso la incastro in macchina così.
C’è un tempo per essere quieti, c’è un tempo per essere ribelli.

 

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

2 risposte a "Ronde Van Vlaanderen 2018 | Travel Report"

  1. se non fosse per l’evento ciclistico, i luoghi che descrivi sarebbero probabilmente anonimi. La tua descrizione li rende vivi. Forse la sofferenza del ciclista è lo specchio di una realtà scomparsa fatta di miniere, sudore e fango scuro. Questo è probabilmente ciò che anima quei luoghi.
    Sono curioso di leggere le tue impressioni sullo Zoncolan se verrai dalle mie parti.
    Anche qui la sofferenza del ciclista sarà lo specchio di una terra di emigrazione e fatica.
    Complimenti per il blog
    Mandi
    Bruno

    1. Grazie del commento Bruno, è molto bello! Sono sempre più convinta che siamo noi a dare significato e valore alle cose e ai luoghi in base alle nostre esperienze…In questi posti (come in altri) il ciclismo ha costruito una leggenda . Sarò sullo Zoncolan che è una montagna che voglio vedere da molto tempo…perciò vedremo che succederà 🙂

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