E’ lì in una stradina secondaria della zona industriale, tra i capannoni e un maneggio. Sembra uno di quei carrozzoni dei giostrai direttamente dagli anni Settanta e uno si chiede anche per quale strano sortilegio sia stato catapultato lì, con la sua veranda, le tendine di pizzo ai finestrini. Surreale. Come spesso è la Brianza. Come certe storie di qui, il vecchio e il nuovo che si mischiano, gli spiriti che fluttuano tra le macchine ferme nel traffico della mattina, restando ancorati all’attesa della sera quando le strade tornano come una volta, con il tempo scandito dalla luna sui campi e dei semafori lampeggianti quando la nebbia sale dal buio inghiottendo le case.

E’ che questa può sembrare una corsa di provincia come tante eppure riesce sempre ad aprirmi il cuore a metà come fa un bambino con quelle albicocche mature colte dagli alberi del giardino dei nonni. Una metà per quello che ero, l’altra per quello che sono e in mezzo il nucleo, resistente a tutto proprio come un nocciolo dimenticato tra la ghiaia per secoli. L’Agostoni si incastra placida in un settembre che ha l’odore delle cose di casa ma oggi ho voglia di cambiare piani, sono stanca e non c’entrano i chilometri che ho fatto quest’anno. C’è una vecchia villa abbandonata che si affaccia sulla strada principale che porta su verso il circuito: il cancello arrugginito, il cortiletto interno ombroso, le persiane chiuse a custodire quello che è stata, silenziosa come se venisse da un’altra dimensione, come quel carrozzone ai margini della zona industriale.
villa brianza
C’è un sortilegio nelle nostre vite, unisce fili senza capo. E’ così che riconosco esattamente quel posto, come un déjà-vu, come se facesse parte di un’altra esistenza, un flashback da un altro tempo. Avevo cinque anni e la mia prima bicicletta tutta verde ma se ripenso alla Sirtori non mi ricordo il ciclismo. Mi ricordo solo di quanto avevo fatto fatica, tutto il dolore di botto, e mi era sembrato inutile. Solo per raggiungere un posto dove passavano i ciclisti. Il panino, quello si che era morbido, era buono, divorato tutto come un cagnolino a digiuno da giorni. Ero un animaletto strano, io. Forse lo sono ancora. Forse non è passato così tanto tempo in fondo.
sirtori coppa agostoni
C’è il fruttivendolo in piazza, poco più in là, una cascina, un signore coi capelli bianchi tutto intento a scandire il tempo del passaggio con un cronometro che tiene legato al collo come un arbitro con un fischietto, come Frodo con l’anello. Cinque minuti e trenta hanno. Glielo dice a tutti poi, a tutto il gruppo che passa gli dice che devono menare, che altrimenti non li riprendono. Dio, quanto mi era sembrata inutile tutta quella fatica, solo per arrivare lì, a vedere cosa poi? Un passaggio, un alito di vento e poi tornare a casa.
A Lissone i ragazzini sono cavallette impazzite, fanno a gara a raccogliere le borracce che gli lanciano i ciclisti ritirati all’ultimo giro, come giostrai con il gioco del codino.
Sei il mio idolo, gli dicono.
lissone coppa agostoni
Il pomeriggio ha l’odore acuto e malinconico dell’Olea Fragrans, la volata è quella di sempre, troppo veloce, un flusso fino in fondo al rettilineo. Incontro di nuovo il papà di Enrico Barbin che avevo visto al bar, mi dice che suo figlio ha fatto settimo e non è contento perché voleva vincere, lui sì però. Alza le spalle, sorride un po’ e dice ancora: “Io sono contento
Quanto tempo mi ci è voluto per capire che nessuna fatica è inutile. Mai.

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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