A Giò.

Sembra quasi di sentirli ancora, bambini che corrono sul pavimento di graniglia della vecchia colonia Agip, con le vetrate grandi che guardano sulla spiaggia lunghissima e il mare lontano. Ci entra il sole della mattina appena velato, come i bar di provincia. E’ grigio azzurra l’acqua, gli stabilimenti deserti, gli ombrelloni chiusi, la battigia costellata di alghe che sembrano avere ancora un respiro. Forse è stata la notte di vento e di pioggia a portarle lì, come stelle in costellazioni sparse. Dicono che pioverà ancora, ci sono nuvole grigie che vengono da nord. Grigie come certi aironi che planavano sulle paludi lungo la strada per venire qui. Ci deve essere una connessione tra questo mondo e quell’altro, per qualche confine segreto ci passano i respiri.
Le conchiglie hanno strani solchi sul guscio, li ha incisi l’acqua per secoli, lente profezie su mani rugose.
E’ piccola la statua di Marco Pantani, lui che si alza sui pedali, la gente che ancora lo fotografa come se niente fosse cambiato, come se fosse ancora qui e si potesse ancora dirgli ciao incontrandolo in paese.

statua marco pantani cesenatico

Davide e sua figlia Eleonora li conosco da qualche tempo ma è la prima volta che li incontro di persona, mentre il gruppo è sul GPM forse per la terza volta. Sono loro a dirmi del ’98, di quando Cesenatico è letteralmente esplosa, l’anno della doppietta Giro-Tour, della festa di gente dal grattacielo fino a qui, su tutto il lungomare. Una cosa mai vista, che non si vedrà mai più. Mi indicano lo storico chiosco di piadine della famiglia Pantani: ha cambiato gestione, ha cambiato nome ma c’è ancora una foto di lui in maglia Mercatone Uno appesa ad un albero lì fuori. Davide dice che si ricorda ancora di quando l’aveva incontrato dopo l’incidente alla Milano-Torino, con il tutore. La bicicletta ti fa sopportare qualunque dolore, la vita no.

C’è l’odore di settembre, delle foglie secche che rotolano pigre nel vento leggero ma costante, il cimitero è quasi deserto, hanno scritto per sempre sulla lapide e così è stato. Mai così tanta leggerezza mista a tanta rabbia in uno scatto. Così tanta malinconia in una fuga solitaria.
Scappare. Per evadere dalla tristezza facciamo cose che alla gente non sembrano tristi. Percorrere chilometri, alzarsi sui pedali, volare, scoprire che ci sono ovunque confini tra qui e l’aldilà. La ghiaia è bianca come il cielo, non te lo immagini lui che dorme qui sotto insieme agli altri, pensi che sia ancora da qualche parte a guardare il mare in silenzio. Da qualche parte lì fuori, forse confuso tra la gente che guarda i passaggi prima dell’arrivo, con la felpa larga e il cappellino. A guardare quella volata che è un mezzo miracolo, Zamparella su Ulissi, una di quelle giornate che vale una carriera, te la ricordi per sempre. Lo abbracciano tutti sul rettilineo, tutti i suoi compagni che gli dicono come un disco rotto: “C’avevi la gamba cazzo, lo dicevo che avevi la gamba oggi. Ce l’avevi!
memorial pantani zamparella
Lui ha gli occhi spalancati per lo sforzo, per la giornata intera in fuga, per l’incredulità e forse per cento altre cose. Non si toglie nemmeno il casco, si fa passare un telefono, a chi c’è dall’altra parte dice: “Oh, ho battuto Ulissi!”
Ho battuto Ulissi.
Gli altri quasi non ci credono, qualcuno non l’ha neanche mai visto questo Zamparella che di nome si chiama Marco. Con la carriera piena di occasioni mancate, di infortuni, come in questa stagione che sembrava una delle peggiori.

Si alza ancora il vento, sembra che stia per piovere ma è quel tipo di vento che spazza le nuvole, torna il sole per quei tramonti diluiti di fine stagione, lungo il canale si accendono le luci dei ristoranti, c’è odore di frittura, i gabbiani che volano sopra le barche di legno ormeggiate e i vecchi che pescano assorti, come se tenessero il filo tra il mondo di sopra e quello di sotto.
In fondo sono tutti ancora qui, ci guardano dallo specchio delle cose che parlano allo spirito, segni sulle conchiglie, morsi di cani, alghe come stelle. Scale per il paradiso.
porto-canale cesenatico

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

2 risposte a "Stairway to heaven"

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