Il Tour de France è una corsa piena di contrasti, splendida nelle sue tappe di montagna ma così poco umile da creare false aspettative. Con il tempo impari a conoscerla (ma non troppo).
Ecco alcuni appunti strettamente turistici su come vivere il cuore delle Alpi francesi, lasciando a casa lo stress mi raccomando, con infinita pazienza e fidandosi serenamente delle specialità tipiche senza cercare su Google.
Ah, tra partenze e arrivi, acquazzoni e discese in scia, in totale abbiamo percorso più di 1500 chilometri.
Eccoli qui.
PLAYLIST 🎧
E’ sempre da specificare il fatto che le playlist non sono scelte dai viaggiatori ma dal viaggio (anche perchè se sento di nuovo Symphony impazzisco). Ecco quelle che ci hanno accompagnato durante la settimana di Tour dalle Alpi alla Costa Azzurra, nel bene e nel male. Amen.
♥ Something just like this – The Chainsmokers & Coldplay.
[Cantata dalla Vale, reduce da un devastante concerto, in perfetto karaoke]
♥ Symphony – Clean Bandit.
♥ Losing my religion – R.E.M.
AUTRANS
Non so esattamente cosa possa servire dopo una giornata di crisi totale. Forse soltanto un posto dove non esista niente altro che tranquillità. La prima sera in Francia, impatto secco come al solito. Nonostante non abbia idea minimamente di dove mi trovo, Autrans è un piccolo incantevole posto dove addormentarsi. L’albergo, appena fuori dal paese, è affacciato sulle piste da sci ed è uno di quei posti di montagna con le sedie di legno, i cuscini ricamati e un sacco di cianfrusaglie strane sugli scaffali. Dal menu scelgo i ravioli al burro ripieni di erbe. Burro e formaggio (e penso anche besciamella) c’è anche nelle patate al forno che la signora bionda ci porta al tavolo. Con un sorriso gentilissimo ci spiega che si usa così, una teglia da dividere come contorno. Sono filanti, si sciolgono in bocca, entrano direttamente nella lista di cose più buone che abbia mai mangiato. God save the gratinatura.
Il mattino dopo il cielo è azzurro, in paese è giorno di mercato, gli ambulanti usano gli ombrelli capovolti per esporre le cose. Mi riconnetto al mondo con i gatti che vagabondano per le stradine e si fanno accarezzare, si rotolano coccolosi mostrando la pancia. Fiducia. E’ una cosa seria. Si può costruire con uno sguardo, si può distruggere in un soffio.
GALIBIER
Prima regola non scritta: non salire mai in montagna senza acqua, nessun rifugio ti salverà. Specialmente se il rifugio è a tre chilometri sotto la vetta. Seconda regola non scritta: non sottovalutare mai il meteo a duemila metri.
Il Galibier è un valico delle alpi francesi che unisce San-Michel-de-Maurienne (ma quanti Maurienne ci sono in Francia?) a Briancon ed è alto 2648 metri sul livello del mare. Una cima brulla e grigia dove non c’è assolutamente niente a parte un cartello che dice che sei arrivato. Per fortuna ho messo i jeans lunghi nello zaino e un k-way, non sarà il massimo ma è abbastanza per tentare di ripararsi dal freddo di quassù. Salendo verso il GPM si ha davvero la sensazione che questa sia una montagna arcigna e con poca pietà. Dai tornanti si vede la gente come puntini, indiani sui canyon senza sole, segnali di fumo che arrivano dai camper salgono inquietanti nel cielo grigio. Il meteo di sicuro non aiuta. I tifosi sono i peggiori che abbia mai incontrato ma alla fine dopo quattro ore al gelo esce il sole, alla fine una bottiglia d’acqua della Vittel mi rotola tra i piedi, alla fine il passaggio è sempre quello che conta. Poi in qualche modo scendi. Il ciclismo insegna che ti devi arrangiare, che devi essere pronto a qualsiasi evenienza, che devi accettare di perdere tempo, di avere pazienza, di non smettere di inseguire o di salire. Gestire gli imprevisti, ecco cosa.
IZOARD
La leggenda. Il giorno che aspetti e non sai cosa aspettarti. Un luogo spirituale che, come altri santuari del ciclismo, ha la capacità di stringere ancora di più il filo che tiene stretti tifosi e corridori. In realtà, i tifosi ci salgono da corridori fin qui, lasciano una distesa di biciclette sul pianoro della cima, davanti ai versanti della montagna che veglia tutto, silenzio e rumore, da millenni. Totalmente diverso dal Galibier che era solo l’ultimo GPM prima della discesa verso Briancon, l’Izoard come sede d’arrivo della tappa è una festa, compresa di patatine fritte e coda chilometrica per averle. Questo sport mischia sempre la felicità con la sofferenza, il panorama quassù è bellissimo, con le nuvole bianche sull’azzurro, degno delle migliori cartoline. Un posto normale nella sua straordinarietà. Come succede molte volte, nel ciclismo si incensano i luoghi fino a mitizzarli, a renderli quasi astratti. L’anima dell’Izoard invece, come quella del Muur, si ascolta nel vento, senza troppi giri di parole, proprio come le cose autentiche, che conservano la loro magia intatta. Parlano alla gente, dicono quello che ciascuno di noi ha bisogno di sapere.
LES ORRES
Arriviamo a Les Orres che sta scendendo la sera, una di quelle limpide con il bagliore sanguigno del sole che tramonta a valle. Ci sono due di quei palazzi con i balconi in legno scuro di chissà quanti piani. In alto sono collegati da un ponte sospeso sulla strada. Mi piacciono gli impianti sciistici fuori stagione, tipico di me. Mi piacciono le pareti rivestite di legno degli alberghi, tutto molto anni ’80, quando c’erano i soldi e se li sono mangiati a suon di settimane bianche. Quando veramente nessuno pensava al futuro.
Fuori si sta bene con la felpa addosso, sul piazzale dell’hotel ci sono i mezzi della carovana: sono qui anche loro stasera. C’è un posto che sembra una mensa collettiva, riconosco le tipiche cene a buffet francesi: fette di carne con salsine strane, patatine fritte, insalata, olive, qualcosa che assomiglia al vitello tonnato. Memore di passate esperienze, consiglio di andarcene. Per fortuna troviamo un posto più tranquillo. Nel menù hanno una cosa che si chiama Oreilles d’âne, a primo impatto penso a una bistecca ma prima che digiti su Google la signora mi dice con un sorriso che non serve cercare, spiega lei. E’ una specialità di questa valle: crêpes agli spinaci in una piccola terrina fumante che scoppietta di formaggio fuso sopra. P-a-r-a-d-i-s-o.
Le Dinos’ Orres
Immeuble Sunny Snow
05200
Les Orres
Si scioglie tutto in bocca, assieme al sapore della giornata che in fondo è stata buona e riparatrice. Più tardi scendo a riempire le bottiglie d’acqua alla fontana gelida che gorgoglia lì sotto. Fa freddo, forse è la montagna o forse è la stanchezza ma è di sicuro la sera più tranquilla di tutte.
MARSIGLIA
Parliamoci chiaro, Marsiglia è sporca come poche altre città. A parte l’afa che ti attanaglia persino all’ora di cena quando ti aspetti che sul mare spiri la brezza serale e il quartiere malfamato del nostro hotel, persino sulla via principale, tutti i ristoranti sembrano il set perfetto per Antonino Cannavacciuolo e il suo Cucine da Incubo. Ci fidiamo di un posto con le bandierine tricolore – nostre – e con un cartello esposto che dice: “parliamo italiano e napoletano”
La location non è il massimo della vita e, mentre aspettiamo il menu, c’è pure un cantante di strada stonatissimo che canta la classica “Sono un italiano”
Solo cinque minuti e sto già affogando negli stereotipi.
Ma forse Marsiglia è fatta per sgretolare le apparenze perché il titolare che per farci capire la sua veracità, parla in dialetto napoletano stretto, ci porta i suoi paccheri al sugo con la mozzarella direttamente nella pentola da dividere. Sarà la fame nera ma riconsegniamo tutto – piatti e pentole – puliti da una scarpetta a regola d’arte.
C’è la ruota panoramica in lontananza, vale scarpinare ancora per un chilometro e raggiungerla; vedere la città dall’alto, il porto con le lucine blu e sotto la festa scombinata della gente, qualcuno che balla il tango in una piazza, i bambini che corrono zingari, giocano a palla, l’odore di canna che sale dai gruppetti di ragazzini sdraiati sulle scale della chiesa.
“Il punto d’incontro di tutto il mondo”
Lo diceva Dumas.
DA RICORDARE
♥ Qualsiasi sia la faccia, invitante o meno, NON ordinare o comprare la pizza.
♥ Fidarsi delle specialità culinarie locali.
♥ Mantenere la calma con la Gendarmerie, tanto hanno sempre ragione loro.
SUL TOUR DE FRANCE 2017: