Sento in bocca quel retrogusto dolciastro di mandorla delle Madeleines che lancia la carovana. Guardo nello zaino: cento cose antipioggia che per fortuna non sono servite e sei barrette energetiche – di quelle che mangerei a colazione, pranzo e cena – che ci ha dato il doc della Bahrain-Merida. Les italiens. Dio benedica gli amici che ho conosciuto grazie a questo circo. E’ merito loro se oggi ho quei maledetti braccialetti gialli delle partenze. Riconosco queste giornate proprio come il sapore delle Madeleines, sono quel tipo di mattine in cui il ciclismo ti abbraccia, quello stronzo, come se ti avesse voluto bene sempre.
Forse è così.
C’è l’aria frizzante di montagna lungo la strada che porta su all’Izoard, il versante opposto, e le nuvole bianco-grigie innocue su un cielo così azzurro da non essere previsto. La ragazza dei panini ci mette due ore per aprire una baguette e metterci il formaggio, intanto la gendarmerie blocca la strada. Intanto finiscono i posti su al parcheggio. Intanto penso allo striscione che ho visto stamattina a Briancon davanti al pullman della Orica. Always keep riding. Tre parole. In fondo è tutto quello che dovremmo imparare dalla vita. Se mettiamo il piede a terra siamo fregati.
L’Izoard è brullo e grigio e imponente, sulle vette spoglie dei versanti ci sono le ombre delle nuvole che si muovono come spiriti. L’ombra e il sole. Confini netti, di qua e al di là, come un paradiso nell’inferno. Ci cresce il dolore, è il rito sciamanico della montagna. Confini netti, come spezza il ciclismo. Le gambe, la voce, il cuore. In fondo siamo abituati: siamo fatti anche noi di questa roccia qui, pietre aguzze e quasi taglienti, che appena le tocchi franano, rotolano a valle. Così indistruttibili, così vulnerabili.
A fianco a me c’è un ragazzo francese e un papà con suo figlio che, a occhio, avrà dodici anni. Americani, a quanto pare. Solo saliti in bici tutti e tre, non si conoscono ma cominciano a parlare. Il ragazzo in inglese, il ragazzino in francese, il padre in inglese. Non capisco più chi vuole fare un favore all’altro. Questa cosa mi fa fare pace con il mondo. Parlano di tutti, persino di Aru, dicono che è un gran combattente, gli piace per quello anche se uno è lì per Froome e l’altro per Barguil. Si raccontano tutta la vita, i passi che hanno fatto, le gare che hanno visto.
Li ascolto. E’ la benedizione dell’Izoard.
Le vojage. Di quelli che passano da questo tunnel di rumore e silenzio, sotto un cielo che gonfia nuvole bianche sull’azzurro. Warren Barguil per primo e poi gli altri, proiettati su, dove finisce questa ultima curva, dove sembra che ci sia un burrone nel nulla. E’ solo la fine di oggi, il giorno peggiore, l’ultima montagna.
La gente scende con le biciclette, una marea umana come forse non avevo mai visto che zigzaga tra le macchine, le ammiraglie con i corridori che sfrecciano giù dai tornanti verso gli alberghi. Il vento piega l’erba di questo versante che non ha visto la corsa, la piega come se fosse in ginocchio.
E’ così l’Izoard nel suo pomeriggio: i fianchi imbevuti di sole, le pietre di quel colore che si vede nelle cartoline, le navette che si bloccano nelle curve strette, i gendarmi che imprecano, le biciclette che scivolano a valle. L’unico modo per volare è salire soffrendo.
E’ così l’Izoard, già lontano nel cielo ancora azzurro e senza una nuvola, ancora lì immobile, senza dire una parola, tra le fronde dei pini scuri che scorrono dal finestrino.
Il formaggio fuso scoppietta nella teglia di crepes agli spinaci, fuori ci sono quei palazzi delle stazioni sciistiche, così alti, con i balconi di legno scuro. Come molte cose nella mia vita mi piacciono senza che io ne sappia il vero motivo. C’è una fontana di acqua gelata con il suo gorgoglio continuo nel buio. E la città giù nella valle, con le sue lucine intermittenti, uno sciame di piccole stelle sulla terra.
E’ prima di dormire che si chiedono le benedizioni.
🎧 The Chainsmokers & Coldplay – Something just like this (2017)