Every finish line is the beginning of a new race
Rosa.
Non so ma ho come l’impressione che l’ultimo giorno di Giro per me sia maledetto. Nonostante l’anno scorso mi fossi segnata di non fare mai più le partenze dei grandi finali, ci sono ricascata di nuovo. Questione di cuore, ti pareva. La pista così vicino a casa, l’odore di bosco che lascia spazio all’asfalto cotto dal sole, il caldo torrido che viene su dal circuito come se fosse un giorno d’agosto. La storia della schedina si ripete neanche l’avessi fatto apposta. Ma io sono cresciuta pranzando a casa dei nonni con la gigantografia di Gilles Villeneuve davanti, se qualcuno dice che quella curva non si può fare, io ci provo lo stesso. Quando sbatti la faccia contro le cose non lo fai inutilmente, impari qualcosa, che forse non ti sarà utile o forse sì. Vale la pena rischiare.
Monza è fatta per le macchine. Ma se fai un giro di circuito in bici ti gasa come se avessi un motore dentro. E’ questa la magia, nel ciclismo ti ascolti perché sei tu a guidare te stesso, a sentire cosa non va e cosa va, come impostare la traiettoria, cosa ti serve per andare più veloce, quanto in equilibrio devi stare tra testa e gambe.
Fino a Milano è una linea diretta che attraversa la domenica della periferia, gli ultimi semi infiniti chilometri per dire che ci si può riposare stanotte. Milano è il Giro. E chi non lo sa se ne accorge subito, a guardare il Duomo bianco nell’azzurro, la Madonnina che luccica, che veglia la gente che si ammassa alle transenne, che si arrampica su qualsiasi cosa. La cronometro ha un po’ questo potere di dilazionare il tempo, lascia che la fine si consumi così, ad uno ad uno, come per allungare il momento degli addii.
Jos Van Endem è olandese come Tom Dumoulin, ieri sera gli ha mandato la foto del suo bambino con addosso una maglia rosa. Anche a casa tifano per te, gli ha scritto. Abitano nello stesso quartiere, sono amici. Si dividono il podio oggi. Lui che era stato maglia nera e adesso si versa in faccia lo spumante davanti a tutta quella folla. Come possono cambiare le cose.
Sparano i coriandoli, si alzano i piccioni insieme a quel turbinio. Rosa sul rosa della passerella. Oro come il nastro senza fine dove hanno inciso il suo nome: Tom Dumoulin, il primo olandese a vincere un Giro d’Italia. Piazza Duomo lo abbraccia come solo lei sa fare, gli consegna lo scenario dei suoi sogni, con i festoni che restano attaccati al trofeo come segnavento. Non serve più sapere la direzione, adesso non serve.
Si scioglie tutto in un tramonto d’acquarello. E’ rosa anche il cielo stasera, prima di lasciare posto a una fetta di luna sottile come la disegnano i bambini. Coriandoli persi sopra Milano che si allontana, alla Brianza che entra dal finestrino con il profumo delle sere di maggio. Vorrei dirti di restare ancora un po’, che non ti ho detto tutto come mi capita spesso, che quando parlo faccio casini ed è meglio che scrivo. Vorrei dirti di tenermi ancora un po’ aggrappata qui. E invece niente.
Domani mattina sarà ancora come prima. Resteremo qui ad aspettare miracoli che non arrivano mai, a farci coraggio guardando i podi dove non stanno mai solo i vincenti ma anche quelli che hanno insistito, che si sono sentiti forti anche quando tutto il resto voleva fargli credere il contrario. Continueremo a resistere senza motivo alle sirene della resa, restando al comando di navi che forse vediamo solo noi.
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