Fiori.
Sono ovunque, rosa o viola che alla fine è il colore che più si avvicina al Giro. Palloncini e ruote verniciate in ogni vetrina. Le ultime. L’ultima vera partenza. La gente affluisce lenta e costante verso la piazza, la riempie, di bambini saltellanti che tengono Wolfie nello zainetto come se fosse un loro animaletto, di cani, di signore curiose che il ciclismo non l’hanno mai visto ma forse un po’ gli piace, anche solo guardarlo dalla finestra o da una sedia del loro solito bar. I crocchi ai pullman, la corsa ai selfie, le ore sciolte sotto il caldo di una giornata che è più vicina a giugno che a maggio.
Ci penso, ai papaveri lungo i binari per venire qui, a quelli dei campi di stamattina, chiazze rosse nel grano semiverde. I miei preferiti, selvaggi che crescono ovunque ma non possono essere raccolti da chiunque. Rossi come il sangue, resistono al vento ma non ad essere staccati dalla terra che hanno scelto.
Fiori selvatici come quelli che crescono al sole della salita che porta su ad Asiago, tornante dopo tornante, mentre laggiù si snoda la pianura fino a perdersi nell’azzurrino delle cose troppo lontane. I colli Euganei, come labile confine prima del nulla. Il Giro è incerto, come un sacco di cose nella vita. Un po’ ti insegna che devi solo dare il meglio di te, che è questo quello che ti devi aspettare: te stesso e il tuo meglio. Lasciare che la fatica sia un rosario, che niente ti scoraggi o ti convinca a lasciare perdere.
Senza padroni fino alla fine, sfuggente come non lo era da anni. Ha insegnato a tutti che quello che conta è combattere anche quando pensi di non avere le forze, per attaccare o addirittura per resistere. A tutti loro ha insegnato che vale la pena tenere acceso qualsiasi lumicino.
Il Giro è incerto. Anche adesso che Thibaut Pinot abbraccia i suoi compagni, che per la prima volta sorride e non viene intervistato solo perché non scappa via dal rettilineo come gli altri. Questa volta è diverso. I ragazzi sfilano ai pullman, hanno fretta, l’ultimo trasferimento sarà lungo. Qualcuno grida “Milano”.
Un’ancora di salvezza. Il viaggio è quasi finito. C’è da non crederci.
Scorre dal finestrino l’altopiano verde imbevuto dell’oro della sera, nuvole quasi invisibili sopra l’azzurro, le mucche sdraiate nell’erba che dormono tranquille. Un signore in pigiama che sembra essersi appena svegliato guarda la carovana di macchine che scendono lentamente come una processione. Ci sono le cascine dove sventolano i palloncini un po’ sgonfi, le finestre chiuse, un cane che guarda da un cancello semi aperto. C’è il sapore di certe sere in campagna piene di nostalgia per chissà che cosa, le sere con i nonni in canottiera seduti sulle poltrone di vimini a contare il tempo. Non so se i nipoti usano farlo ancora, mangiare il gelato dopo cena come se fosse un premio, un regalo.
Su certe strade dove il Giro neanche passava ci sono appesi striscioni. E’ l’amore che non chiede. Nemmeno un passaggio. E’ l’amore senza fine, intenso da sentirlo a distanza, da apparecchiare tavole senza invitati. Da accendere le candele per passare insieme una notte buia e lasciarle consumare sapendo che nessuno arriverà.
Ho preso al volo un treno da Vicenza per tornare a casa.
So che ci sono papaveri nel buio di questa notte che sfilano fuori dal finestrino. Fino a Milano, fino alla sua torrida aria della sera. Una striscia rossa come il sangue, lieve e tenace come oppio per i nostri giorni fragili.
♥ Giro 100 | Pordenone-Asiago | PHs
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Bellissimo questo articolo ❤ ero anche io lì e ho rivissuto tutte le emozioni provate sabato!
Domani sul mio blog pubblicherò il post dedicato…eventi come questi devono rimanere 🙂
Buona serata!