Tàriba ha una chiesa bianca. Bianca come certe statue di gesso dei giardini, così bianca da sembrare quasi finta. Attorno le palme e una cittadina venezuelana come altre, forse. San Cristobal è a pochi chilometri, il nome legato a doppio filo al ciclismo per sempre, grazie a quel Mondiale vinto da Francesco Moser nel 1977.
La Vuelta a Tàchira passa di qui, come di solito passa la corsa in un circuito. Ogni volta il fruscìo rapido delle biciclette, qualche cambio, schiene colorate che schizzano via. Il ciclismo è così, passa e segna, non si sa come.
Tàriba è una cittadina tranquilla, pochi indizi sono rimasti di quella ribelle che era. Ma forse bastano. Ha il merito di aver resistito agli Spagnoli, quando questa era ancora una valle sconosciuta e selvaggia. Quando ancora era degli indigeni, gli autentici purosangue di questa terra.
La resistenza è un po’ come la speranza: il resto del mondo ti fa credere che siano le armi preferite dei falliti. La prevaricazione, ecco cosa conta per avere il potere.
Raffaello Bonusi a quella vittoria ci credeva per metà, complice un problema al ginocchio durante l’inverno e il dubbio che la forma smagliante del fine stagione scorso non fosse sopravvissuta a quei mesi. Invece una corsa un po’ scombussolata gli ha fatto capire che non era cambiato niente. L’attacco ai meno tre chilometri per provare ad andare da solo fino al traguardo e poi il risucchio del gruppo, il carburante giusto nel serbatoio per provare anche a stare a ruota e uscire in volata. La prima di stagione per lui e per la sua squadra che ha vissuto la trasferta argentina tra un misto di euforia e attesa. I giorni che precedono l’uscita delle Wild Card sono diventate peggio delle albe prima della fucilazione. La colpa non sappiamo di chi sia, o forse lo sappiamo benissimo ma continuiamo a dire che c’è crisi, che gli imprenditori non si fidano degli investimenti nel ciclismo, che non ci sono soldi. Siamo in crisi, è vero, tanto per cambiare. Ma di sicuro questa è molto più profonda di quello che crediamo, visto che questa volta se ne sono accorti tutti. Ma proprio tutti.
Nel 2016 l’Androni-Sidermec fu esclusa dal Giro d’Italia e, tifosi sfegatati a parte, nessuno disse niente. Le squalifiche per doping dei loro corridori potevano essere una valida scusa. Quest’anno, dopo che gli sponsor fedelissimi (per fortuna) le hanno concesso un’altra stagione di vita per il riscatto, la scena si è ripetuta senza troppe scusanti. Compagna di sventure, stavolta, anche la Nippo Fantini.
Scuse finite.
Un Giro d’Italia per un team italiano è tutto, è una sottile linea di confine che a volte decreta la sopravvivenza. Mario Androni ha già detto che nel 2018 lascerà il ciclismo dopo anni di sponsorizzazione, idem per Valentino Sciotti. Delusi e amareggiati tutti. Perché, alla fine, l’esclusione in sé è solo la punta dell’iceberg della morìa delle squadre italiane. Che resistono come possono. Per amore, il più delle volte. Perché forse non esiste un altro motivo per resistere così a lungo. Neanche i soldi hanno questo potere.
Tàriba è stata conquistata negli anni quaranta del Cinquecento dagli Spagnoli, dopo due attacchi. Il primo fu respinto dagli indigeni che ferirono molti uomini tra cui il capitano Alonso Perez de Tolosa e otto cavalli. Una grande perdita, date le condizioni dell’assalto.
Le piccole resistenze sono sempre meno ricordate delle grandi vittorie, è l’ordine naturale delle cose. Nessuno si chiede se sia giusto o sbagliato, fino a che si tocca il fondo. Quando il ciclismo italiano non esisterà più allora ci chiederemo come abbiamo fatto a finire così. Ecco come, passo dopo passo. Così si costruisce, così si distrugge. Gli indigeni hanno sempre difeso le loro terre fino alla morte, gli indios di qui e i pellerossa non così lontano. Sempre per quel senso di appartenenza che noi stiamo perdendo. E non c’entra né il nazionalismo, né il radunarsi a guardare una partita con le sciarpe azzurre. E’ che senza radici prima o poi si muore.
“Per noi non cambierà niente” dice Raffaello, mischiando insieme le sensazioni della vittoria e dell’esclusione. “Continueremo a correre con la stessa fame di vittoria e faremo di tutto per conquistare la Coppa Italia”
La speranza e la resistenza sono sorelle. Solo quando non le avremo più dalla nostra parte la battaglia sarà veramente persa.