Fuori l’aria scuote le cime dei pini di questo angolo sperduto sulle colline del Chianti. Sembra una specie di bosco fatato che ha l’odore di legno, di corteccia. Piccole luci illuminano appena i sentieri di ghiaia immersi nel silenzio di una notte che non sembra di maggio.
Alla fine è sempre così il primo incontro con il Giro. Uno scontro, più che altro, una specie di frontale a trecento allora. Un po’ ti incazzi. E’ sempre così. Perché alla velocità ci devi anche un po’ essere abituato.
Questa non sarà mai una corsa come le altre. Il suo ritmo lo trovi vivendolo, non ci sono scuse. Non esistono pause, non esiste un momento in cui prendi il respiro. Ti trovi tra un muro e una transenna con la gente addosso da tutte le parti e ti accorgi dopo che è solo questione di farci l’abitudine, come ogni volta. Ti rendi conto che, alla fine, è anche quello il bello. Perché nessuno ti strapperà via il ricordo della piazza di Brescia con tutta quella gente che era lì a vedere Nibali e potevi sentire tutto, persino il battito di quello che ti stava vicino. E’ assurdo. Poi capisci che è bellissimo.
Un lampione, una trattoria semideserta con le tovaglie metà al sole e metà nell’ombra, i palloncini rosa, un cane che sonnecchia sul marciapiede, un bar. Arezzo è uno scorcio dipinto al volo e neanche troppo completo. Le nuvole bianche e grigie, le colline in lontananza verdi nella luce del pomeriggio.
Arezzo è un mucchio di gente e poi è Gianluca Brambilla. La polvere dello sterrato è riuscita, in un modo o nell’altro, a segnare un destino, come tante volte fanno le strade del ciclismo. Polvere che ti si appiccica addosso assieme al sudore, un impasto magico. Un impasto rituale. Ogni cosa torna al suo posto oggi. L’ultima Strade Bianche gli aveva insegnato che si può perdere ed essere amati follemente. Che il coraggio può tornare indietro in mille modi. Che le vittorie possono essere completamente diverse da come lo immaginiamo e forse, sotto sotto, rimanere tali.
Lo sterrato glielo aveva insegnato alla maniera rude del ciclismo. Senza sconti, senza tenerezze, se non quelle del pubblico, della gente che ha imparato il suo nome per quella fuga che era un sogno. E anche oggi, aveva qualcosa da dire.
Tutto torna. Il bene, il male, l’indifferenza. Torna tutto. Torna sempre. In un modo o nell’altro. Questo era il modo, oggi. Questa volta, la lezione, aveva il sapore di certe tenerezze delle mamme quando ti vogliono dire che dopo tutti i rimproveri ti amano sempre, ti amano per sempre.
Arezzo, questa è una di quelle storie a lieto fine. Anche se il ciclismo non ammette finali.
E’ questo il fatto. La velocità ci mette alla prova. Afferrare anche solo una piccola cosa importante in tutto questo turbinio è la nostra sicurezza che non moriremo di distrazione. Che riusciremo ancora ad essere trascinati ma non portati via.
Buonanotte, piccolo gelido mondo sperduto di quassù. Mi sento davvero come se avessi sbattuto contro un muro a trecento allora ma come ogni buon pilota che si rispetti non ho perso la voglia di sentire la velocità scorrere accanto a me.
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