Un anno fa, oggi, cominciava il viaggio di questo blog: un viaggio tra l’asfalto intriso di pioggia e soffocato dal caldo torrido, tra la fatica, il sudore. Un viaggio dal primo all’ultimo, tra il gruppo e tra le grida che lo incitano, che gridano e applaudono, che sventolano i lenzuoli colorati per le strade di tutto il mondo, come un interminabile stadio senza biglietti, senza posti contati.

Nove anni fa, oggi, se ne andava Marco Pantani. Dolce, malinconico e tenace corsaro che ha sempre saputo usare i remi giusti per affrontare le piccole grandi tempeste della sua vita. Penso a Marco e me lo rivedo in maglia rosa, in una fotografia che forse non si può scordare facilmente: gli occhi chiusi, le braccia allargate, quasi a voler dire: “Sì, sono stato in croce e forse lo sarò ancora. Ma questo è il mio anno, è il millenovecentonovantotto. E questa è la mia bicicletta, sono le mie gambe. E’ il mio Giro.” Non riesco a pensare ad altro, oggi, che a quel Giro, a quella rosa che ha addosso il riscatto di tutte le sue sfortune. Una maglia che sta su un corpo che è fatto più di cicatrici che pelle, un corpo che Martinelli definiva “di cristallo”. Un cristallo puro, che sulla bicicletta è al suo posto e vola. Vola quando l’asfalto diventa tiranno e orgoglioso. Marco arriva al Giro d’Italia del ’98 con le aspettative di tutta Italia sulle spalle e nei suoi occhi grandi e pensosi ha voglia di vincere. Tanta. Molta di più che l’anno prima, quando con la Mercatone provò l’assalto alla corsa rosa, dopo lo stop forzato imposto da quel brutto ottobre del 1995, alla Milano – Torino. Non era ancora il suo momento: nella discesa del Chiunzi un gatto taglia la strada al gruppo e Marco è a terra. I chilometri che lo separano dall’arrivo diventano per lui un calvario e, forse, tra il dolore e le parole incoraggianti dei compagni, si chiede “perché”? Perché sempre Pantani? Non piace, a Marco, fare la parte dell’eroe “sfigato”: lo dice lui stesso. Lui, che dorme con in camera la sua bicicletta, che non ha mai voluto essere un numero del gruppo e basta, lui che si sente a casa anche sulle salite più impietose, ha voglia di vincere, di far vedere che è fatto per il primo gradino del podio. E’ così che il Pirata arriva al Giro del suo anno più bello.

E’ così che a Piancavallo fa battere i cuori della gente, scatta e fa il vuoto. E’ così che si alza sui pedali, come sa fare lui, così leggero che l’asfalto non lo sente, come ha fatto tante volte. Si è sempre alzato sui pedali, forse con la rabbia di sapersi il re delle montagne e di non poterne avere la corona. In cima a Montecampione i giornali dicono: “Pantani aquila rosa”, “cuore pirata” e durante l’ultima cronometro, la paura di perdere il bel sogno scivola via con i secondi. Marco Pantani è sulla bocca di tutto il mondo e quella fotografia lì, quella con gli occhi chiusi, mentre taglia la linea del traguardo, si prende quell’istante e se lo porta con sé per sempre, ovunque. Se la si guarda bene, forse, si può anche riuscire a immaginare i rumori, le urla. O forse si deve continuare a guardare così, nel silenzio. Perché il silenzio, a volte, sussurra le parole più belle.

Grazie Marco perché hai lasciato questi istanti sulla terra, per quella foto che è come un abbraccio. Grazie per tutte le volte che ti sei rialzato e per le tue lacrime silenziose che ci hanno fatto capire che le fragilità, a volte, possono aiutare a sentirci più forti, a stringere i denti. Grazie per aver messo il tuo nome su tante salite: per averlo scritto con la leggerezza e il genio di un campione.

E grazie a voi tutti: a chi è passato da qui per caso e a chi mi segue con affetto. Grazie a chi, per le strade di una corsa, ad un ritrovo di partenza, sulle transenne di una linea di arrivo, mi ha regalato, senza saperlo, un momento da scrivere qui, su questa striscia di asfalto virtuale. “E mi alzo sui pedali” alla fine, siamo tutti noi, perché, per quanto lontani, uno scatto in salita fa sentire tutti quanti vicini, tutti in mezzo alla folla, tutti un unico cuore.

 

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

Una risposta a "Grazie."

  1. Uno come te è nato per essere il primo, per questo è iniziato il tuo dramma. Quando di correre ti hanno impedito, al cuore ti hanno colpito e quando di pedalare hai smesso per via di tutti quei processi, ti sei allontanato dalla gente, sei rimasto tu solamente ed hai pensato:” O primo o niente” e te ne sei andato con il vento, ma sei arrivato ancora prima di tutti quanti, alla corsa, questa volta, più importante, quella che veramente fa gioire e che porta vicino a Dio.
    E adesso, ogni volta che vedo una corsa, al cuore sento una morsa perchè non è più come prima, tu non passi più in cima, ci manca il più forte, ci manca tutto, le corse non sono più corse e per sempre sarà così, forse, finchè non tornerà uno come te che va forte in salita, per farci di nuovo entusiasmare, che, però, potrà essere forte quanto vuole, che a te non potrà rassomigliare neanche un po’ e neanche da lontano ci potrà ricordare MARCO PANTANI.

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