Ieri, a Pian dei Resinelli, maggio sembrava essersi dimenticato di essere un mese primaverile. Tra il mare di nuvole lattiginose sopra Ballabio e le Prealpi lariane, minacciose contro un cielo grigio, si snodava il rettilineo di arrivo  della quindicesima tappa del Giro d’Italia. La pioggia che rendeva gli alberi fradici e l’asfalto lucido, scivoloso, non ha fermato il popolo del ciclismo: k-way in spalla e ombrello sulla testa gli appassionati hanno percorso, a piedi o in bicicletta, i quattordici tornanti che si aggrappano alla montagna per sette chilometri, arrivando su, in cima, ad aspettare l’emozione della corsa. Una corsa che ha ripagato la loro costanza perché, a passare la linea bianca per primo, è stato un ragazzo di ventiquattro anni  che ha creduto in sé stesso.

Matteo Rabottini è uscito dal gruppo al chilometro numero diciotto, protagonista di una di quelle fughe che, a volte, sono già destinate a morire. C’erano le montagne: valico di Valcava, Culmine di San Pietro e, dulcis in fundo (e non troppo dolce) la salita di Pian dei Resinelli. Come poteva sopravvivere a questi G.P.M. un ragazzo, da solo, sotto l’acquazzone che si era scatenato sulla Lombardia? Invece Matteo è arrivato ad avere un vantaggio di cinque minuti sul gruppo della maglia rosa, ha pedalato con i vestiti zuppi della pioggia che scendeva insistente, con il vento freddo nelle ossa bagnate, tenendosi stretto più che poteva il vantaggio che aveva accumulato. E si è rialzato anche quando l’asfalto insidioso lo ha fatto scivolare. Un solo, leggero, moto di rabbia e poi ancora in sella per tentare la scalata verso il traguardo. Su, tornante dopo tornante, stringendo i denti. Su, fino all’ultimo chilometro, quando la strada spiana un poco, quando il viaggio verso la linea bianca sembra interminabile. E’ su quel tratto che le speranze di Matteo ricevono una frustata tremenda, peggio della pioggia e del freddo: Joaquim Rodriguez, il “big” di classifica, lo raggiunge. Ma il ragazzo giallo – fluo non molla, si incolla alla sua ruota: mancano duecento metri che, tuttavia, sembrano chilometri. E’ finita. Nessuno ci scommette più, tutti pensano già di annoverare quell’azione tra le tante, cocenti, sconfitte, che il ciclismo prepara per i giovani coraggiosi. Matteo, però, dopo una curva, tra lo stupore generale, risale la china (o meglio il brevissimo strappetto prima del traguardo) e lascia dietro di sé Rodriguez. Passa la linea bianca con le braccia alzate, sorridente, sotto la pioggia che è stata un po’ compagna e un po’ nemica in questa sua impresa.

Ma la cosa veramente emozionante di ieri è stato essere lì, tra la gente, sotto la pioggia, e sentire che il ciclismo, di tante voci, ne fa una sola. I tifosi, incollati ai maxischermi, hanno seguito, trepidanti, l’ultimo chilometro di Matteo e, quando Rodriguez lo ha raggiunto, dalla folla si è alzato un boato di delusione. Tante voci, infinite voci in un luogo dove, forse, in un giorno normale, si sarebbe sentito solo lo scrosciare della pioggia. Infinite voci che sono diventate un suono unico, come un unico cuore, quando il ragazzo della Farnese ha tagliato il traguardo per primo. Sono queste le cose che spiegano il ciclismo, che spiegano la sua unità, nonostante le brutte vicende che a volte càpitano. Non c’è altro sport che regala immagini così, che  avvicina in questo modo. Dopo una partita, al bar, volano gli insulti tra i tifosi di una squadra e quella di un’ altra. Dopo una tappa così, in un bar, si possono anche parlare altre lingue ma tutti saranno d’accordo sull’impresa di Matteo, a nessuno, forse, passerà per la mente di dire: “Ma io tifavo per quell’altro”. Il popolo del ciclismo tifa la fatica, il cuore, la grinta e spesso non importa di che maglia sono rivestiti questi sentimenti. Matteo li ha avuti tutti ieri, con il merito grande di aver creduto in sé stesso, anche quando tutti avevano smesso di farlo. E, questo, lo sappiamo, non è facile nemmeno per noi, nella nostra vita di tutti i giorni.

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

5 risposte a "Le infinite voci per Matteo sotto il diluvio dei Resinelli."

  1. Hai ragione io ieri ero sul traguardo hai descritto perfettamente la sintesi e le emozioni dell’arrivo,quelle emozioni che solo uno sport meraviglioso come il ciclismo puo’darti;=)

  2. Bellissimo articolo, e concordo con quanto detto sul ciclismo. Ho visto conoscenti che nemmeno sanno cosa sia una bicicletta dirsi impegnati, quel giorno, perché dovevano andare a vedere il passaggio della carovana del Giro, e gli stessi poi (insieme a tanti altri) postare sui social network commenti palesemente emozionati sul vedere la corsa passare da sotto casa. Emozioni che la messinscena calcistica non regala ormai più, se non in forma altrettanto artificiosa e imposta…

  3. E brava ancora! Leggendoti mi si sono inumiditi gli occhi, hai colto proprio l’atmosfera vera, a differenza di tanti scialbi report di professionisti della penna.
    Sei giovane e brava, sei una speranza per questa nostra malridotta Italia, continua a spremere emozioni da questo meraviglioso sport.
    grazie di cuore!

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