Dietrich Thurau, nel 1977, ha ventidue anni. Tedesco, biondo, con quel sorriso da ragazzino che affascina il pubblico femminile, si prepara ad affrontare un Tour che lo porterà ad accarezzare il sogno di una vittoria a Parigi.

Già dal primo giorno Didi, come è soprannominato, si veste di giallo: nel crono – prologo a Fleurance arriva primo, lasciandosi alle spalle, al terzo posto, con 8’’, un Eddy Merckx oramai in declino. Il primo giorno con la maglia di un Giro così importante, per un ragazzo di quell’età, deve essere incredibile: un sogno. Forse a quel giallo antico sono attaccate così tante speranze, così tanto profumo di emozione e di successo che è difficile separarsene. Forse Didi ha visto, in quel giallo, la passerella dei Campi Elisi. Forse, in quella prima notte, con la maglia di leader di classifica in camera, ha sognato di arrivare vincitore a Parigi. Il giorno dopo, durante la prima, vera, tappa, lunga 237 chilometri, Didi si mantiene in giallo. Ed è così anche per le tappe successive: sui Pirenei, mentre Merckx perde 2’ in salita, il giovane tedesco vince in volata. Bordeaux, Limoges, Rouen, Roubaix: la classifica è immutata e Didi diventa un idolo per le folle. Eddy stesso l’aveva segnalato come una grande promessa del ciclismo europeo.

Autografi, sorrisi, gente che grida il suo nome. Didi sogna i Campi Elisi fino alla crono individuale di Avoriz. Il giovane aveva provato due volte la salita che gli è stata fatale ma un errore tattico ha bruciato tutto: la maglia gialla passa a Thevenet. E c’è il vuoto. Perché la maglia del Tour, come quella del Giro, ha un fascino particolare, non solo per chi la indossa ma anche per chi la guarda. Incanta, spaventa, emoziona. E, forse, quando qualcuno te la toglie dalle spalle, ti senti nudo.

Dietrich Thurau non vinse quel Tour de France. Nel 1979 trionfò alla Liegi – Bastogne – Liegi, ma non finì mai la Grande Boucle sul primo gradino del podio di Parigi.

Pensando alla nostra storia recente, mi viene in mente Thomas Voeckler che, l’anno scorso, al Tour de France ha difeso, è il caso di dirlo, con le unghie e con i denti, la maglia gialla. Persino sul tremendo Galibier, con una smorfia di fatica, il corridore francese non ha mollato il suo tesoro. Non è stato facile per Andy Schleck portargliela via. Sono così differenti Didi e Thomas: un tedesco e un francese, uno sguardo agguerrito e teso, due occhi chiari e ridenti. Eppure il pubblico del ciclismo li ha amati allo stesso modo, durante quei giorni in maglia gialla: un amore come quello per gli eroi, per quelli che non mollano mai, che sono sulla vetta grazie al loro sudore e alla loro determinazione. Un amore che si riserva a quelli che, pur essendo vinti, meritano la stessa gloria dei vincitori.

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

4 risposte a "Didi Thurau e gli eroi in giallo."

  1. Bel post! Però secondo me Voeckler non ha lo stesso stile… anzi, decisamente più rozzo. Anche se qualche merito glielo lascerei, la combattività c’è!

  2. Ciao Miriam,
    Toh, una donna che scrive di pedivelle…
    Didì, credimi, era un principe che poteva diventare imperatore; Voeckler al suo confronto è un servo della gleba.
    Il biondo aveva tutte le doti per vincere quel Tour e, soprattutto, diventare un fenomeno.
    Aveva ventidue anni e il mondo – del ciclismo – ai suoi piedi.
    Passista di altissimo livello, zeppo di classe e talento: il problema fu il carattere e la sua vita privata mooolto agitata.
    Però non penso che per lui tutto ciò fosse un problema: anzi, ha guadagnato una montagna di soldi lo stesso…

    Un saluto,
    Simone Basso

    1. Ciao, Simone. Certo il paragone con Voeckler non è bilanciatissimo, me ne rendo conto. Non mi sono piaciuti certi suoi atteggiamenti, nei confronti del pubblico. Era piuttosto un parlare dell’attaccamento della gente verso chi indossa la maglia gialla e la porta con determinazione. I francesi sono molto bravi in questo, specialmente con quelli che parlano la loro stessa lingua 😉
      Ciao e grazie per aver letto 🙂

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