Di questa Tirreno – Adriatico rimarranno, indelebili, nella mia testa, le immagini di Vincenzo Nibali che, con gli occhi lucidi, riguarda la sua azione sulla salita di Prati di Tivo e, dopo la crono dell’ultima tappa, sorride. Con quel sorriso che è riservato alle gioie più intime, alle vittorie vere, belle, guadagnate.
Ma il ciclismo non è fatto solo di vittorie. A volte, gli “sconfitti” danno spettacolo proprio come i vincitori.
Penso a quelli che vanno in fuga al chilometro zero, che hanno abbastanza follia nelle gambe per staccare il gruppo e guardare da soli la lunga striscia di asfalto che li separa dal traguardo, prendendosi il vento in faccia. Penso a Diego Caccia, a Stefano Pirazzi, a Filippo Savini e a tutti quelli che iniziano una fuga, combattuti tra la convinzione di potercela fare e il dubbio di fallire.
Già nella seconda tappa, la coppia di fuoco formata da Caccia (Farnese – Selle Italia) e Pirazzi (Colnago CSF) lascia alle spalle il gruppo al chilometro due. Nel loro viaggio in solitaria verso Indicatore, arrivano ad avere un vantaggio di 7’ 44’’ e il combattivo ragazzo della Colnago transita per primo sui due GPM, guadagnandosi la maglia di scalatore. Ma c’è un Cavendish desideroso di vittoria e i due fuggitivi vengono inglobati dal gruppo che vuole giocarsi la volatona finale. All’arrivo sono tutti per il velocista dell’Isola di Mann. E’ una dura legge: lo sprint finale anestetizza il resto della gara.
Ma i Colnago sono giovani e combattivi in questa Tirreno e, nella terza tappa, il bianco e azzurro Filippo Savini inizia la sua temeraria fuga al primo chilometro. Nessuno lo segue e Filippo, dopo tanti chilometri da solo, comincia ad accarezzare il sogno di una vittoria. Non fanno così i grandi campioni? Non lasciano, forse, un vuoto incolmabile, dietro di sé che li consacra eroi della gente? Savini comincia a crederci e il suo vantaggio sale ad 11’ sul gruppo. Ma c’è vento contrario e, qualunque nave a vela, anche la più bella e imponente, non si muove controvento: quando mancano ventotto chilometri a Terni, Filippo torna ad essere uno del gruppo. E il traguardo che pareva essergli tra le mani, gli viene portato via da Edvald Boasson Hagen.
Ma il testimone passa di nuovo nelle mani di Pirazzi. E’ ancora lui, il giorno dopo, ad infilarsi nel gruppetto di fuggitivi che provano subito ad andarsene ai primi chilometri. Stefano si prende di nuovo i GPM di giornata ma la fuga si scioglie sotto il ritmo dettato da Liquigas e Lampre al gruppo della maglia blu. Peter Sagan ha la meglio sul traguardo di Chieti. Si incendia la polemica per il presunto sgarbo in casa Liquigas da parte del corridore slovacco e di Pirazzi si parla poco.
Mi immagino il guizzo che accompagna queste iniziative di fuga, la fermezza di stare controvento per così tanti chilometri, di pedalare con i secondi di vantaggio sul collo, di rilanciare l’azione anche quando il gruppo è lì, come un grosso mostro pronto ad inghiottire le speranze, a buttare via la fatica. E penso che a loro, a tutti questi folli che fanno sognare, vada un applauso grande, affettuoso. Perché, a volte, nella vita, è più importante il percorso che l’arrivo.