Le bandiere sventolano nel cielo bianco, la gente cammina in pellegrinaggio su e giù per questa striscia di pavé che taglia i campi battuti dal vento. Nemmeno un cane si avventurerebbe quassù nelle sue scorribande, sicuramente preferirebbe la fiamma di un camino e un pomeriggio con la mano del suo padrone sulla testa.
Eppure la gente fluisce senza sosta dalle otto di mattina, come l’alcol giù per la gola. In Belgio c’è un detto: quando la birra è vuota, significa che il senno dell’uomo è rimasto nella lattina, una cosa così.
Qui a dire la verità mi sono sempre sembrati pazzi anche senza bere, certi bambini sono in pantaloncini corti, con le gambe magre quasi viola per il gelo che nessuno sembra avvertire davvero. Una cosa normale. Sensazionale invece è la domenica sui muri, da fuori non ci credi mai poi, una volta che metti il dito nella piaga, capisci che è tutto vero. 

Ward ci accoglie in quello che è un vero e proprio recinto di folli. La pioggia di due giorni ha inzuppato il terreno trasformandolo in poltiglia e loro ci ballano dentro come se fosse una discoteca all’aperto. Solo che questi non vanno a far serata solo per mettere i video su Instagram, qui la gente si diverte davvero. Non gliene frega un beato cazzo di essere fighi, lo status può andare a farsi fottere mentre affondano le scarpe di tela bianche nel fango fino al ginocchio senza dire beh. Mi chiedo come arriveranno a stasera questi, che rischiano di rompersi l’osso del collo arrampicandosi sui bagni chimici o saltando a piedi pari le transenne. Che si devastano fino al midollo nel nome del ciclismo: sport nazionale, religione, ragione di vivere e molte altre cose che noi profani non possiamo neanche immaginare. 

Shame 
Shame
Shame

Così urlano a quelli che mettono giù il piede dalla bici e salgono a piedi. Siamo tutti amici ok, ma non c’è pietà per quelli che lasciano perdere. Il Kwaremont è un tempio, nonostante tutto, ed è così che va onorato. Soffrendo. Quando passa la corsa, il boato è devastante, al punto che ti chiedi se potrai mai tornare ad ascoltare chi parla sottovoce. Mentre sento la transenna oramai dentro lo stomaco, riesco a percepire il mio battito fino al cervello. Quando qualcosa ti urta profondamente non puoi far finta di niente, le cose diventano più intense, come quando senti il sapore del sangue in bocca o il sale che ti entra in una ferita. Il dolore te lo ricordi per sempre. 

All’ultimo giro passa Pedersen per primo, rosso in faccia come sempre per lo sforzo immane. Meglio morire provando che morire seguendo, dirà ai microfoni poche ore più tardi, in completo spirito fiammingo. Alla gente piace come vinci ma si innamora di come corri. Chi mai sarebbe così folle da scambiare il sanguigno e veemente pavé del Kwaremont con l’asfalto del rettilineo di Oudenaarde? 

Qui la gente venderebbe la casa per un’altra ora di spettacolo ma il freddo oramai ghiaccia le ossa e dove c’era un campo ora c’è una palude. Una specie di pazzo druido gira a torso nudo con la schiena bianca a chiazze rosse e la birra che gli esce pure dagli occhi. Non so come si presenteranno domani al lavoro, in un classico lunedì di vero hangover con la Coca-Cola in una mano e la sigaretta nell’altra, forse l’ultima rimasta asciutta di quei pacchetti rotolati nelle pozzanghere. Il senno è rimasto là, seppellito in dieci centimetri di fango, sulle lande lunari dove ancora restano le cose perdute – ma non dimenticate – in attesa che qualcuno cavalchi un ippogrifo e faccia un viaggio interstellare per venirsele a riprendere.

Nel poema di Ludovico Ariosto “L'Orlando Furioso”, il paladino Astolfo raggiunge la luna a cavallo dell'Ippogrifo per recuperare il senno perduto di Orlando e lassù trova enormi distese senza fine delle cose perse dagli uomini durante la loro vita. 
Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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