Il profilo arabeggiante della Mezquita si staglia sul cielo azzurro di quasi mezzogiorno. Una signora spiega che sì, questa stradina è stretta ma è l’unica per uscire dal centro di Cordoba che è un intrico di vicoli fiabeschi come è tipico delle città andaluse. Fuori le pareti bianche come il gesso e dentro il tesoro segreto dei cortili con le fontane, le palme e le vasche con i mosaici e gli androni con le piastrelle di ceramica ovunque. Svegliarsi qui è come stare nelle Mille e Una Notte. Sappiamo tutti che le favole servono solo a fare bei sogni ma ogni tanto è così, crediamo di averne una nostra – da qualche parte – ad aspettarci per il lieto fine.
Alla fine di Sierra de La Pandera c’è solo il cielo, tutto attorno rocce e poi ancora rocce che sembra di essere su un pianeta lontano mentre l’antenna che svetta verso l’azzurro lo fa assomigliare ad una specie di Ventoux andaluso. Qui soffia il vento dell’altura ma tra le rocce ci sono fiori viola come stelle in una notte. Ce ne sono un’infinità: sono colchicum e segnano la fine dell’estate. Carini e mortali, come altre cose della vita per le quali a volte è troppo tardi tornare indietro. A volte invece esistono degli antidoti per combattere il veleno ma non tutti sanno quali sono.

Un amico ci parla di cose che gli stanno succedendo, dice che è così, non riusciamo mai a dire le emozioni che proviamo ma è la fottuta paura che ci blocca. Paura di cosa poi? Quassù, mentre il mondo intero è lontanissimo, mi sembra che non dovremmo mettere limiti a niente ed essere noi stessi senza il terrore di risultare stupidi, incoscienti, fragili.
La bellezza ci strega ma il per sempre esiste solo con l’intensità.

Il vento soffia tra le rocce appuntite a picco sulla curva. La Vuelta di nuovo parla al mio spirito senza nessun intermediario. Il tuo posto è qui, dove l’orizzonte è aperto, qualsiasi cosa tu stia facendo, fallo senza risparmiarti e – alla fine – se non riesci a dire quello che senti, allora scrivilo. La corsa passa tra i canyon plasmati dai millenni, scende e risale e di nuovo ridiscende. I ciclisti si lamentano perché devono fare di nuovo altri sette chilometri in discesa per arrivare ai bus ma poi alla fine si divertono come matti, mi sfiorano nelle curve mentre torno alla macchina. Roglic fischia e canta yuuuh yuuuh ad ogni curva. E’ felice. Quando sei secondo, non hai nulla da perdere.

La luce sopra la Sierra Nevada è la stessa dell’ultima volta che sono stata qui, un puro e largo tramonto sopra la schiena nuda delle rocce. Nelle vie della periferia, c’è una coppia appoggiata al muro, lei canta, ha la voce chiara e bellissima delle donne spagnole. Lui alla fine la abbraccia e si baciano poi si prendono per mano e vanno chissà dove, mentre le lanterne in ferro battuto si accendono piano e la metà della luna lassù li veglia, come fa da secoli con tutti gli amanti felici.
Il Colchicum - detto anche falso Zafferano - è un fiore che sboccia alla fine dell'estate e segna inevitabilmente l'arrivo della stagione autunnale. Ad un primo sguardo è una pianta veramente bella ma è tra le più velenose esistenti in natura. Altamente tossica, basta un contatto lieve con i suoi pistilli per correre il rischio di morire. Attualmente non esiste un antidoto efficace contro i suoi veleni.