I pini con i loro tronchi sottilissimi si aggrappano alle rocce, in fila come mikado di giganti, a costellare le montagne come nelle stampe che appendiamo ai nostri muri per sentirci in quegli chalet isolati dal mondo, con le panchine vicino al fuoco nei giorni di tormenta. Mi sembra strano che in un piccolo centro di montagna come questo c’è un locale che fa praticamente tutto quello che vorrei in un giorno, compresi gli smoothies con il latte di soia per combattere quest’afa soffocante che vela le montagne innevate lontane, così lontane da sembrare un dipinto di una cartolina degli anni Cinquanta. Qua è tranquillo ma non è un posto dove vivrei, sinceramente. Alcuni luoghi parlano direttamente al cuore, altri no, questo è il punto. Ma stanotte ho fatto un sogno, probabilmente è vero che se ci sconnettiamo dal silenzio delle cose possiamo perdere più facilmente la rotta. Scava nel silenzio, scava ancora, scava sempre.

All’arrivo ci sono due tipi di lacrime e io alla fine mi sento sempre più vicino a quelle dei perdenti. Santiago Buitrago piegato sulla bici, con la faccia tra le mani, mentre tutti vogliono filmare almeno un pezzo della sua cocente rabbia, è molto più vicino ai giorni in cui sentiamo di aver perso un’occasione. Lo sappiamo che non è colpa nostra ma non riusciamo a evitare di pensarci, molte volte il cuore batte dove non è mai arrivato.
Adesso esce il sole mentre i ciclisti fischiano giù per le montagne – gli ultimi quindici chilometri prima di arrivare ad un massaggio – e la polvere dello sterrato che corre a lato del fiume entra dai finestrini e copre ogni cosa con la sua coltre invisibile. Questa fila di macchine di sicuro disturba le fate della sera.
Il giorno dopo Brescia è come una giornata di agosto: semideserta, con due o tre tipi in giacca e cravatta che entrano nei bar a prendere il caffè da portare ai colleghi in ufficio ibernati dall’aria condizionata.
Su un muro c’è scritto in nero su bianco: “Sognare è il solo modo per restare svegli.”