Il sole chiaro del mattino dipinge un ristorante cinese all’angolo di una via deserta che sembra chiuso da mezzo secolo. Su questa strada tutte le saracinesche sono abbassate: è il mese del Ramadan, lo dice un tipo dietro il bancone di una specie di boulangerie etnica che vende un centinaio di tipi di dolci arabi ma neanche un tè caldo. Qui oggi nessuno lavora fino al tramonto, l’eclaire nella vetrina sono invitanti ma, quando ne assaggio una, ha il sapore delle torte semi-congelate dei compleanni. Fuori il quartiere sembra abitato dai fantasmi. Una vecchia casa con un pittoresco abbaino si affaccia sui tetti delle case e mi fa pensare a tutte quelle volte che ho desiderato vivere altrove. Dalla vetrina di quello che sembra un barbiere – ma è un caffè – spunta il muso di un gatto bianco e nero, guarda la strada con i suoi occhi verdi e, come tutti, sembra non appartenere a nessuno.


Lille è come me la ricordo ma il velodromo no. Tutti in fondo cambiamo un po’ a seconda delle situazioni. La pista illuminata dal sole sfolgorante del pomeriggio di aprile è solo l’ombra lontana di quel pomeriggio di pioggia in cui, per la prima volta, ho messo piede qui dentro. Mentre il vento soffia su quell’angolo sacro di Roubaix, mi sento grata di aver vissuto certi momenti di beatitudine. In fondo sono questi i veri privilegi della vita, sentire intensamente, più forte della realtà stessa.

Oltre le grandi vetrate Art Nouveau della stazione si vedono i colori del tramonto acquarellato, il vento diventa più freddo, probabilmente è l’ora in cui la gente del quartiere si prepara all’Ifṭā.
Cerco un bancomat per prelevare – classico – e lungo la via principale c’è una grossa statua di un gatto colorato. L’altro invece è di nuovo nella vetrina, come se si fossero dimenticati di lui. Miagola dal vetro con i suoi occhi verde-gialli e forse vuole dire qualcosa che non sappiamo ancora. Oppure vorrebbe solo un po’ di coccole per interrompere la sua mistica solitudine. Ma c’è quel vetro a dividerci e la sola cosa che possiamo fare è guardarci negli occhi.
Anche noi, come loro, sembriamo figli del vento che vagano sotto le stelle, senza una meta precisa. Ma questa è solo apparenza, abbiamo anche noi luoghi a cui apparteniamo, abbiamo momenti ai quali vorremmo tornare come se fossero un pezzo di casa. Nessuno lo sa ma siamo creature selvatiche che restano a guardare le case illuminate dal profondo della notte. A volte per curiosità, altre sperando in fondo di poter entrare. Un giorno. Non oggi, un giorno.
Forse.
Fin dall’antichità, i gatti venivano considerati animali magici. I monaci zen ritenevano addirittura che fossero in grado di “mostrare la Via”. Gran parte delle loro eccezionali qualità dipendono dai sensi - udito sviluppato, olfatto prodigioso e occhi che vedono al buio consentono loro di percepire una realtà molto più ampia di quella alla nostra portata.