Gli zuccherini sulla brioche mi ricordano l’Olanda, i giorni trascorsi a Maastricht, quando sugli scaffali dei supermercati trovavo milioni di questi cosi dai gusti più svariati. Anche il lungolago mi sembra il ponte sul fiume Mosa, come se una strana cartolina dal passato venisse a bussarmi in testa. Succede di tanto in tanto. Si mescolano il grigio e l’azzurro in quel torpore. Mi chiedo se pensiamo mai a far accadere di nuovo i momenti in cui siamo stati felici. Ci pensiamo mai a quanto pochi siano stati, in confronto alla marea d’istanti senza significato dai quali ci facciamo sommergere ogni giorno?
Prima che diventi una questione troppo sentimentale, finisco di bere il mio tè e vado al foglio firma. Como è insolitamente tranquilla e io anche, ho la sensazione che sia uno di quei giorni in cui ogni cosa scivola via senza nessuna piega, senza che il destino metta la propria carta sul tavolo.
Sulla Roncola c’è una cascina che sembra per metà abbandonata, forse per l’altra metà è una specie di casa delle streghe dove ti aspetti che ci sia un pentolone sul fuoco e il giardino trascurato sia in realtà pieno di erbe magiche. Il ciclismo da qui passa in religioso silenzio, tra l’odore di camini accesi e quello che sale dai boschi di castagni, chiazzati a metà dalle mani impietose e dolci dell’autunno. Giù in città c’è il profumo delle frittelle, mi fa impazzire ma non le compro mai perché tutti sanno che alla fine le friggono in un olio vecchio di decenni. Ma a volte il profumo non basta, a volte quella maledetta frittella te la ingoieresti prima di finire di pagarla, perché è così, certe cose ci mancano come l’aria e dobbiamo essere perdonati per tutte le volte che ci siamo fatti fregare.

Mentre guardo gli ultimi tre chilometri dallo schermo, non penso a niente. Le figure fluttuano sulla salita di Città Alta come se fossero di un altro pianeta, come se fossero altrove e non qui sopra, proprio mentre la luce avvolge le cose di una metafisica luce pomeridiana. Continuano a scattare e rilanciare. Come nella vita, ti chiedi continuamente se sia giusto tentare o lasciare che pensino gli altri a fare la prima mossa, che il caso scriva il corso degli eventi. Ma questo non è uno sport che ti lascia molto tempo per decidere, in un secondo devi capire cosa fare. E se aver provato senza successo ti fa essere un perdente beh, è sempre meglio che avere dei rimpianti. Non esiste un posto dove i rimpianti non facciano male come un coltello piantato nelle costole.
Pogačar adesso è disteso sull’asfalto del rettilineo, per lui vincere è così normale, Masnada invece ha solo perso un Lombardia a casa sua per uno sprint. Ma quello che sappiamo tutti è che il ciclismo non ti guarda in faccia quasi mai, ti insegna soltanto, ti insegna continuamente. Spesso noi ci giriamo dall’altra parte solo perché non vogliamo sentire.
Nessuno può condannarci per il fatto di desiderare il lieto fine e magari di cercarlo nei posti sbagliati. La verità è che non sappiamo mai fino a dove possiamo spingerci senza toccare il punto di non ritorno.
I meccanici affondano le spugne nei secchi d’acqua e detersivo, schizzano ovunque le gocce nel sole.
Qualcuno ti chiede mai se sei felice?

Nel film "Chiedimi se sono felice", il sogno di Aldo Giovanni e Giacomo di sfondare nel mondo del teatro con la rappresentazione del Cyrano de Bergerac viene distrutto da varie vicissitudini e da una lite che li allontanerà irrimediabilmente per tre lunghi anni, fino a che Aldo non finge di essere in fin di vita e riesce a riunirli di nuovo tutti in Sicilia per riprendere il sogno esattamente da dove era stato interrotto.