Il tipo versa nel bicchiere mezzo litro di Tocai – che sarebbe friulano – da una damigiana. Mi dice:
“Sai quanti sono gli abitanti di questo paese?”
“No” ovviamente, rispondo.
“Sette”
Prima della pandemia, qui ci è passato Napoleone, l’hanno pure scritto su un cartello enorme che occupa tutta la facciata della cascina. Mi spiegano tutto. Hanno trascinato un tavolino e le vecchie sedie di vimini in mezzo al cortile dolcemente bruciato dai colori dell’autunno nella valle. La foschia copre il sole di ottobre, bianco e pallido come se fossimo sul Sormano per l’ultima classica della stagione.
“C’è pace ai confini del mondo,tra le brume che vagano sul fiume e le foglie che cadono nella loro ballata lenta e struggente, senza sapere che quella è la fine. Palloncini e nastri rosa costellano il percorso come fossero fiaccole nel buio di una stagione assurda, per dire che ancora la strada ha bisogno di noi e noi di lei. E non importa se il gruppo sale compatto come una truppa di soldati, se nessuno scatta, se non c’è nessuno da spingere, da incoraggiare fino all’ultimo.
Non importa se guardiamo in faccia volti sconosciuti senza vedere la sofferenza intima di quell’istante, se il muro di ghiaccio ci separa ancora da tutto quello che abbiamo vissuto segretamente. Non fa niente, di nuovo siamo qui in piedi a guardare i nostri perché salire dal bosco, insieme all’umido del pomeriggio. Come si vive fuori dalla bolla? Una volta credevo che fosse in nostro potere romperla, anche solo con un grido. Una volta ho creduto che la strada potesse fare il miracolo di capirsi in silenzio ma adesso quella strada mi guarda muta, con le chiazze gialle delle foglie maciullate a metà. Le moto sparano i loro fari iridescenti contro i tronchi dei castagni e i ciclisti salgono tra il buio e la luce, una condizione a cui sono fin troppo abituati, un giorno nel baratro e l’altro al banchetto della vittoria. Sono le quattro di pomeriggio, qualcuno spezza il pane come un rito sacro, altri si fermano nei cortili delle case ai piedi della salita a guardare il vincitore che si butta a terra dopo la linea bianca. Bravo, dicono, se l’è meritato. Chissà perché la gente è commossa dalle rivincite, dalla meritocrazia e poi passa sopra le ingiustizie come se fossero cose di tutti i giorni.
Udine è deserta, l’impiantito dei portici luccica sotto le luci giallognole dei lampioni mentre le imposte chiuse hanno un’aria tra il poetico e il malinconico, roba che non sai mai quale sia il confine. Un signore con una barba da Garibaldi fuma un sigaro davanti a un tricolore steso sulla vetrina di un pub.
“Heilà” dice il solitario viaggiatore della notte.
“Hey. Buonanotte”
Cinquantuno anni fa, questa sarebbe stata l’ultima notte di Jack Kerouac sulla terra. Ovunque tu sia, spirito di Duluouz, la tua leggenda continua ad illuminare le notti in cui non c’è nient’altro da fare, se non andare ancora più in là.