Le creste dei canneti sono dorate e trasparenti nell’ultimo sole, il vento gelido le scuote e le piega nell’immobilità delle colline. D’improvviso appaiono passaggi a livello come miraggi nelle stradine di campagna: due sbarre perse nel nulla, quasi da non crederci. Pozzetto ci aveva fatto una scena storica con i contadini che trascinavano le sedie in campagna per andare a vedere il treno che passava: due secondi. E quanto è bello il treno, e il treno è sempre il treno. Beh, noi ridiamo ma il ciclismo è un po’ la stessa cosa, a pensarci. Una manciata di secondi, l’aria che si sposta e poi più niente. Ma la gente si ferma, si trascina dietro non solo le sedie ma le mogli, i figli, il telefono che gracchia la diretta come una vecchia transistor degli anni Ottanta.
Dove sono? Te lo sai? Cinque chilometri e arrivano.
L’elicottero atterra e alza un polverone che tutti stanno a guardare inconsapevoli come quando i bambini saltavano sui tetti di eternit che si sgretolavano nei polmoni. Maledetti vecchi al cantiere con tutta la polvere negli occhi, ecco cosa siamo. Crediamo sia polvere di stelle e invece è solo la sabbia del campetto di calcio dell’oratorio in cui tutti noi abbiamo giocato, rotto una gamba, coltivato demoni che ancora adesso ci mangiano.
Pomarance ha un nome allegro ma di allegro non ha quasi niente, come tutti i paesi qui conserva un’ aura di stregoneria, di vecchie mura dove occhieggia il sole nella penombra nera degli androni, delle porte chiuse da secoli o da ieri, gatti come custodi, vento che trascina le foglie secche come fantasmi assonnati del pomeriggio.
I ciclisti passano come il treno nella campagna, la meraviglia squillante delle tre e mezza, con la gente che guarda giù dalle finestre, perché il ciclismo è sempre il ciclismo. E uno dice ancora Pantani. Quando aveva fatto la foto con Pantani, tra gli altri, chissà quando. Cicatrice nostra rimasta aperta per sempre, è questo il destino. Passa il treno e tutti restano a guardarlo anche se non sanno niente, da dove viene e dove va. Non sanno che il ciclismo può prendere un arrivo come questo e ribaltarlo, farti in pezzi quando credi che niente può più farlo.
Il mare è bianco di onde feroci nel buio, spumeggiano sulla costa con un rumore inquietante, con la sensazione di essere dentro una tempesta, là fuori con una nave che imbarca acqua. Invece la sabbia è morbida e gelida, c’è la spiaggia tra i miei piedi e la furia di questa notte e io la maledico.
La luna lo sa cosa vuol dire urlare dietro un vetro.