A Milano il fiume l’hanno interrato.
Lo dicono anche i Ministri in una loro canzone. E la città ha sempre questo sguardo un po’ dolente, come se le mancasse qualcosa davvero, come se nei suoi occhi grigi e lucidi delle mattine d’autunno si potesse leggere la malinconia di essere a metà. Forse è per questo che sono arrivati fiumi di macchine, fiumi di gente, flussi ininterrotti come quando resti fuori fino alle cinque del mattino per esorcizzare tutto. E chissà se qualcuno la sente poi, la nebbia che sale la mattina come lacrime, nasconde ogni cosa nel suo abbraccio, chissà se qualcuno capisce cosa vuol dire sentirsi l’ultima delle priorità.
Il cielo sopra la Bovisa è un tramonto annacquato di qui, sentirsi a casa con le luci che si accendono piano sulla sera d’ottobre. La stagione della resistenza. Così mi sembra di prometterlo, ogni volta, alle stelle invisibili nel buio della periferia, dove i lampioni illuminano i vecchi muri con le svastiche e le dichiarazioni d’amore, così mi sembra di fare un giuramento davanti a quelli che passano come fiumi su questo circuito stretto e veloce, troppo veloce.
La gente la chiama pazzia, come tutto quello che non riesce a etichettare. Maledetta vita sempre definita nei nostri schemi stronzi. Beh, mettetevi l’anima in pace: alle cose migliori non potete metterci un confine, non potrete mai dargli un nome, un posto nello scaffalino ordinato di voi stessi. Niente di tutto questo. Mai.
Le bottiglie rotolano per terra, scorrono sull’asfalto con il rumore sordo delle campane, dell’aria che spostano le biciclette, veloci da essere invisibili, fantasmi che corrono via, davanti ai cancelli abbandonati che nascondono il buio che ti mangia. Un flusso ininterrotto di giri. In fondo è così, un po’ scappi, un po’ voli, chi può dire quale sia la linea di separazione fra le due cose. La velocità in circuito è come l’odore di erba, la pizza calda con il formaggio che si scioglie sulle dita, una birra. Forse puoi farne a meno ma poi la mancanza ti frega, un fiume interrato, una città a metà. Il tuo flusso. Di ciclisti che sbucano fuori dalle curve, di gente che si arrampica sui muretti: uno sano neanche a pagarlo, barcollano tutti su e giù dai marciapiedi, perché il sabato sera è fatto per dimenticare o per correre.
Tornano a casa con le bici in mano o zigzagando per gli incroci, se li inghiotte la notte e loro si fanno inghiottire, sono suoi figli, non hanno paura, non hanno paura di niente. Su un muro c’è scritto un pezzo della mia poesia preferita. Nazim Hikmet era un rivoluzionario e ha scritto un romanzo incredibile, rivoluzionario anch’esso; adesso un writer ha spruzzato a caso una sua frase in una via traversa della stazione e magari è proprio quello che avrebbe voluto, quello che tutti vorrebbero. Un autentico messaggio in bottiglia, in qualunque stato si trovi.
Restano accese le luci dei grattacieli, resta il fiume sotto l’asfalto. E’ la vena di tutte le nostre rivoluzioni.