C’è un border collie che gioca nel fiume. Dall’alto si vede l’acqua turchese come se il ponte fosse un drone fisso. E’ il Ticino, scorre come la domenica in una giornata afosa a tratti, con l’aria fresca improvvisa che arriva da chissà dove. Il sole sopra la valle aperta dal pomeriggio, le nuvole come in un quadro e le canzoni italiane che escono da un bar sulla rotonda piena di fiori. Giugno, che sta bruciando i campi, che ancora ha i suoi fiori selvatici negli angoli dei giardini. La cronometro che è l’attesa di un istante, di molti istanti che passano senza che ce ne rendiamo conto. Se uno ci pensa, è la storia della nostra esistenza.
Una signora seduta sul muretto mi chiede se riesco davvero a fotografarli. Sono così veloci, dice.
Appunto.
“Signora” vorrei risponderle, “io nella vita so solo prendere manciate di roba dalla mia testa e scriverle. Figuriamoci se posso garantire il corridore fermo in foto”
Ma ho la Nikon in mano, le sorrido. Ho segnato sulla lista la gente che voglio fotografare a fuoco oggi, so che può sembrare una cosa nazista ma giuro che non guardo le posizioni in classifica, questo basterebbe a farmi perdonare. E di conseguenza passo la restante mezz’ora ad andare su e giù dalla strada rischiando di turbare la mia pace interiore con il tipo della sicurezza che mi richiama con il terrore che io mi butti in mezzo. Troppo sole, troppa ombra, di spalle, di lato, per niente aerodinamico. E poi ok va bene, tre, quattro scatti giusti nel tempo di un respiro. Ma la preparazione è una cosa bastarda a suo modo. Mi succede sempre: quando vorrei fare tutto perfetto, sbaglio clamorosamente.
Fuori fuoco.
Passa un bambino con la bandierina svizzera. Il cane continua a nuotare avanti e indietro, fuori e dentro il fiume. Bianco e nero, netto come l’afa e il vento di oggi, come le nostre insicurezze che sembrano stupide solo perché noi siamo ancora lì a sorridergli in faccia e dirgli che certo, a noi non ce ne frega niente finché siamo qui, avanti e indietro senza neanche contare i chilometri. Sotto i portici la luce invade la faccia di chi sta ancora piegato sui rulli, disegna le mani sulle appendici mentre dietro l’ombra della parete di roccia si prende quello che resta.
Corri anche quando sei fermo, corri fuori da tutto e la cronometro ha il suo carattere contrastato e indecifrabile, fuori dal mondo a volte, come quando vedi Stefan Kung sedersi a terra dopo l’arrivo con attorno la gente che quasi ha paura di respirare, come se davvero per un attimo il battito si fosse fermato e lui fosse rimasto in una bolla lontana, chiedendo silenzio senza dire una parola. Perché nelle gare contro il tempo si sente così tanto il vuoto, come se si potesse toccare?
Nessun altro riuscirà ad andare sotto ai quaranta minuti oggi e penso che lui lo sappia.
Il lago Maggiore è pieno di luccichii, il sole mette un’aureola sulle rive, riflette sull’acqua e sui tetti delle case dell’altra sponda come astronavi. Qualcuno ha detto che i momenti migliori hanno le foto fuori fuoco. A volte non le hanno affatto.
Chiunque sia stato, di sicuro aveva ragione.