C’è ancora la neve sulla Cisa, un tunnel di pioggia e sole e tutt’attorno le montagne bianche che di tanto in tanto sono illuminate da uno sprazzo surreale di luce. Poi da una valle all’altra, a fianco della strada, un arcobaleno come se fosse una visione in una mattina in cui il sonno si mischia allo strano effetto del tempo che scorre e neanche ti accorgi dove stia andando. Dicono che ci sia un tesoro alla fine dell’arcobaleno ma non si vede la fine, come diamine fai a trovarlo. Forse e proprio questo il segreto, in fondo, e l’invisibile a chiamarci sempre, non altro. Quello che senti, più che quello che vedi.
La cronometro è cosí, il silenzio dentro il frastuono, assomiglia all’amore in un modo sconcertante, proprio come quando ogni gesto è importante, ogni sospiro, ogni carezza. Ogni singolo fottuto secondo, senti persino il vento addosso come il sudore che cola sulla bicicletta, sulle appendici, sull’asfalto di una primavera che è arrivata all’improvviso sopra le nuvole grigie di pioggia sul profilo quieto degli Appennini. Nessuna parola, nessun sorriso, quella specie di imbarazzo nel lasciare il mondo fuori, nel pregare in mezzo a tanta gente, nel pedalare nel vuoto mentre tutti ti guardano come in un circo. E tu pensi solo ad essere lontano, dove non lo sai, lontana è la concentrazione, lontano sei anche tu.
Qualcuno sfiora una schiena di un ciclista, gli dice bravo, non sa neanche chi sia ma cosa vuoi che importi, queste sono le regole di uno sport che si dimentica i nomi certo ma di sicuro non tutto il resto, di farsi i chilometri, di chiedere le ferie per essere lì un solo istante, uno solo basta.
Peter ti pago, dice uno. Per una foto, una foto soltanto.
Mio figlio è lì davanti, dice un altro. Se lo porterebbe a casa lui, se lo sta mangiando con gli occhi.

La cronosquadre è così, ancora più simile all’amore se è possibile. Interpretare i segni, ascoltare gli occhi, restare in silenzio e dirsi tutto. Da soli e poi insieme, quando si va forte e quando si va piano, perché alla fine niente cambia, il ritmo ha il suo senso in ogni condizione, negli sguardi persi altrove, nella velocità un cambio dopo l’altro. Venti chilometri o poco più lungo il mare deserto fuori stagione, bianco come la luce della mattina, bianco che ti fa chiudere gli occhi come in un sogno, come la schiuma del vino addosso come a quegli schiuma party in cui non capisci più niente, ridi come un coglione e basta.

BMC di nuovo la più veloce su tutti, come se loro conoscessero quel segreto che sta alla fine dell’arcobaleno. Ci penso ancora mentre finisco in una pozzanghera nel buio e guardo i pullman chiusi nella sera senza luna. Non ho visto il mare neanche per un istante. Troppa maledetta fretta che rovina tutto ma non importa, c’è tempo per rimediare ancora, c’è tempo per provare a dire le cose che teniamo dentro per la paura di sbagliare o chissà cos’altro.
Forse quel tesoro c’è davvero.

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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