Le nuvole giocano sopra le colline, ci fanno scivolare sopra le ombre e le luci nella mattina spezzata dai contrasti. Mi piace quando è così, il sole e il buio vicini e separati, netti senza sbavature, senza vie di mezzo. Dicono che questo sia il borgo delle streghe anche se forse è difficile crederlo quando il cielo è azzurro e c’è l’odore del tartufo nelle botteghe piccole e senza finestre ma è abbastanza entrare in un vicolo buio, umido d’improvviso per sentirsi altrove. Su una porta piccola c’è scritto: “Torno quasi subito” e chissà da quanto tempo sta lì assieme alle scope impolverate, ai rastrelli. Un piccione vola via. Ci saranno veramente gli spiriti tra queste mura che dominano le colline pettinate dal vento, tenere di quel verde di primavera come se fossero dune di un deserto luccicante?
Quell’ossessione di immaginarmi tutto non se ne va mai ma è a posto così, voglio che resti lì. Gli olivi brillano nel sole, le nuvole si gonfiano come panna montata e il vento le porta qui e là. A volte penso di aver bisogno di rumore invece voglio il silenzio e viceversa. Non so decidermi e il ciclismo è un buon posto di confine, credo. Ripenso a ieri, alla partenza da Camaiore, alla via con la vetrina del fiorista traboccante di bulbi fioriti, di rosmarino e le altre piante della Versilia che mettono sui tavoli a pranzo e a cena. Ai bar aperti dove la gente divora i cornetti caldi mentre guarda il giornale. I riti che si mischiano. La colazione e il foglio firma, i ciclisti che zigzagano tra la gente, le signore appena uscite dal panettiere.
Mi chiedo se esista mai un posto dove l’eccitazione sia così grande per tutti, dove la lentezza si mischi all’azione in un modo tanto sconvolgente. Come il gruppo che passa per l’ultima volta sul lungomare di Follonica: pazzesco che mi sembra di vederli per la prima volta così vicini, gomito a gomito quasi a toccarsi. Eppure lo so che è così da sempre.
E mi alzo sui pedali.
Gracchia nella confusione il piccolo altoparlante di una vetturina d’epoca, pensare che neanche mi piaceva quella canzone, invece adesso mi sembra una intima e dolcissima dichiarazione d’amore.
Il gruppo va veloce come il vento. Ed è così che rischi, che preghi di non toccare nessuno in quel minuscolo spazio in cui devi correre e stare in equilibrio e seguire la scia o dettarla peggio ancora. Il mare ha onde larghe che tornano e ritornano, il rettilineo sembra una spiaggia deserta prima della mareggiata, un silenzio inquietante cullato dalle sirene. Un argine che si rompe, tutto d’improvviso, ecco cos’è la volata. Persino questa, anzi soprattutto questa dove Kittel è di nuovo tutta potenza e gli altri sciamano verso i pullman senza la voglia di fermarsi neanche mezzo istante. Perché finisce tutto in un lampo, bisogna essere veloci – ancora una volta – a prendersi quello che si riesce prima che la spiaggia torni in silenzio.
Sembra così lontano l’inverno su queste colline illanguidite dall’aria quasi calda di un giorno di marzo qualunque mentre le nuvole disegnano i loro chiaroscuri e continueranno a farlo fino al tramonto quando io sarò quasi a casa a chiedermi quanto sia lunga la distanza tra la testa e il cuore, se non valga la pena di accorciarla percorrendola più velocemente, come il vento, in volata.
SULLA TIRRENO-ADRIATICO 2018:
♥ Alla fine dell’arcobaleno.
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