Fa caldo, è uno di quei giorni di primavera in cui puoi tenere il finestrino abbassato per la prima volta dopo mesi. C’è la solita fila di Milano il sabato mattina, i tram da una parte, i taxi dall’altra e gli altri che suonano a turno. Che chissà mai dove vanno tutti.
Guardo nello specchietto, il Castello è là dietro nell’azzurro di un cielo senza nuvole, la gente ci passa davanti facendo jogging in maniche corte, tra le transenne mezze smontate, i camion che si portano via i resti di una partenza che è sempre così, senza respiro, frenetica come i ritmi di città, come quando salti sulla metro al volo. Trecento chilometri sono tanti, meglio cominciare subito, intanto che c’è il sole, intanto che andare verso il mare sembra la cosa più naturale che esista in un sabato così, dove la fila verso l’imbocco dell’autostrada è infinita.
A un semaforo una zingara vuole pulire il vetro della macchina, non faccio neanche in tempo a dirgli di no che vedo già il parabrezza bianco di schiuma. Se c’è una cosa che non mi piace è avere le maledizioni dagli zingari, allora allungo un braccio e le do una moneta frettolosamente.
“Grazie” dice sorridendo. Mi sembra che le brillino delle perle finte alle orecchie. “Buona fortuna, signorina. Sei bellissima.”
Scatta il rosso, il traffico si scioglie lentamente, finalmente c’è il casello. I ragazzi stanno andando verso Sanremo e anche io, lungo la strada parallela oltre ai campi ci sono le automobili ferme, la gente che migra a piedi verso sud.
Passa la corsa.
Ecco cos’è la Milano-Sanremo, spezza e riallaccia per trecento chilometri. Ecco cos’è il ciclismo, una vena che pompa sangue fino al mare.
A Masone soffia un vento gelido che con la primavera non ha niente a che spartire. Un posto desolato ai piedi del Turchino, come un presepe senza neve e fuori stagione. E una piccola chiesa diroccata dove i ciclisti appoggiano le biciclette, tirano fuori le banane dalle tasche, si allacciano i kway fino al mento, fino agli occhi se potessero. La media della corsa è la più bassa della storia, dicono: colpa di sto vento che è arrivato oggi d’improvviso, dopo mille giornate di sole. Sciami di tre o quattro bambini imbacuccati nei loro piumini cercano le borracce, aspettano il passaggio per vederle volare, si butterebbero nei fossi per portarne a casa una; i massaggiatori preparano i sacchetti pieni a bordo strada, qualcuno tiene da parte i bicchierini di te e di caffè bollente. Arriva la fuga, passa il gruppo, viene fagocitato tutto in pochi secondi, una folata di vento nel vento stesso.
Poi le macchine, le sirene e quella voglia di correre verso il mare. Cantavamo una canzone che diceva quasi così, quando scendevamo in Liguria per le vacanze e appariva d’improvviso la lingua di blu sull’orizzonte, la prima curva verso la Riviera. Ma Sanremo questa volta è un volo di gabbiani su un cielo bianco di una giornata incerta. E’ il suo mare grigio-azzurro, inquieto di onde che spumeggiano sugli scogli. E ancora una volta non riesci a credere quanto possa essere stretta e senza fiato Via Roma durante un sabato di marzo. Quanto non basti a contenere tutto, la gente che si sporge con le macchine fotografiche, la furia di una volata all’ultimo respiro, la mareggiata del gruppo che arriva a tratti, le signore che ti prendono per un braccio e ti chiedono chi ha vinto.
Non lo so neanche io.
Capisco dopo che è Kwiatkowski, dal modo in cui si abbracciano gli Sky, con la faccia bianca dei flash, con la gente attorno che li stringe e li schiaccia e li tocca. Questa corsa è così, capricciosa e poco incline ai domini, proprio come la primavera. Prendi quello che arriva o niente. Corro ai pullman in questa luce malinconica del pomeriggio che si prepara alla sera. Non so di preciso cosa sto cercando ma forse è solo normale amministrazione: non lo so mai.
La gente invade il parcheggio mentre l’acqua delle docce e quella delle biciclette lavate dai meccanici crea delle pozze come piccoli laghi dove galleggia la schiuma. Rivoli bianchi che rotolano sull’asfalto. C’è ancora qualcuno che si mischia tra la folla, cerca il suo pullman, ha la faccia nera di quei chilometri percorsi, segno che oggi è stato là in mezzo e che anche solo questo basta.
“Vedi” dice un signore coi capelli bianchi e con la faccia già cotta da chissà quale sole. “Noi non sappiamo chi ha vinto.”
Rallento il passo, lo ascolto.
“Non lo sappiamo nemmeno adesso che la gara è finita da un po’, eppure è bello così: essere qui, vederli, sentire il clima, respirare l’aria.”
Ha ragione.
Dal mare viene l’odore di salmastro, di iodio, c’è ancora il vento che lo scuote e lo frusta. Tra poco si accenderanno le luci sulle coste. Forse vorrei una monetina da consegnare a queste onde se solo valesse un desiderio. Non ho mai implorato dalla vita cose che potessi raggiungere con le mie forze, c’è differenza tra merito e felicità.
Fammi lanciare una moneta, fammi credere che il bene ritorna, anche durante le tempeste.
Buona fortuna, signorina.
Buona fortuna.
SULLA MILANO-SANREMO 2017:
♥ Milano-Sanremo 2017 | PHs