Mangio un cuneese. Il quinto. Credo sia la sola cosa buona di oggi. Stamattina il Giro è partito sotto la pioggia. Ragazzi zuppi ma felici. Vincenzo con la maglia rosa, tutti attorno, persino quelli che i giorni scorsi gli avevano criticato tutto. Voltafaccia. Ne è pieno il mondo, il fatto che fa un po’ girare le palle è che ricoprono sempre posti d’onore.

Il problema non è Cuneo e forse nemmeno Torino che, a dirla tutta, oggi mi sembra una copia di Milano. Il fatto è che tutte le uscite per l’autostrada sono bloccate. Passa la corsa, certo. Ma forse qualcuno dovrebbe dire ai vigili dove indirizzare la gente e non piazzarli sulle rotonde inconsapevoli di tutto quello che avviene attorno. Ci sono abituata, è un copione già scritto. Chiedi cose elementari che, però, nessuno sa. Beh, ogni vigile che incontro a qualsiasi rotonda mi dice di andare un po’ più su. Consiglio assurdo, visto che la corsa si sposta proprio verso nord. Mi ritrovo a girare per le campagne piemontesi senza trovare un’anima viva che possa dirmi dove prendere l’autostrada. In più le tacche della benzina non scendono più: c’è qualcosa di rotto. Certe volte bisogna davvero sperare che la buona stella non ci abbandoni.

Per caso c’è una fila di macchine che aspetta il passaggio della corsa per ripartire, chiedo a loro. Cinque minuti e riaprono. Allora via, verso Torino.
Ma oggi non è giornata. Decido di parcheggiare alla stazione per evitare il casino dei passaggi. Con tre fermate di metro e quindici minuti a piedi me la cavo. I corridori sono già in città. Poco male, sono otto passaggi. Posso farcela. Se non fosse che dimentico la schedina SD in macchina e dopo essere tornata a prenderla correndo come una pazza e riprendendo la metro al volo, un tizio mi dice che da qui al traguardo sono tre chilometri. Addio arrivo. Addio premiazioni, forse. Tre chilometri sembrano pochi ma a piedi, quando devi raggiungere velocemente un posto, sono infiniti. Lo so già, eppure non ho alternative. Tornare a casa avrebbe ancora meno senso. Mi metto a camminare tra gli addetti che tolgono le pubblicità, smontano tutto, tolgono le fascette di fretta, spaccando le lame dei taglierini e poi fanno scivolare le transenne tutte insieme, facendo un gran baccano. Per l’ultima volta. Mi sento un po’ così anche io, come questa gente che per tre settimane ha fatto un lavoro massacrante e silenzioso. Ogni giorno. All’alba e al tramonto. E’ un paragone azzardato, certo. Eppure mentre cammino verso un arrivo che troverò mezzo sfasciato, penso se tutto questo valga veramente la pena. Tutta questa fatica per cosa? Una manciata di likes che c’è gente che ne fa di più scrivendo comodamente da casa, dopo aver visto la tappa.
Non è un mistero che già cento volte ho pensato di smettere. Ma ho la testa troppo dura per lasciar stare. Perché scrivere è il mio respiro e la mia forza. E questo è un progetto mio, questa essenza lo salva sempre dalle mie incazzature.

La premiazione di Vincenzo la sento da lontano, tra il trambusto dei camion che stanno smontando l’arrivo e i ragazzi che stanno togliendo gli adesivi dall’asfalto. Ci sono tracce della pioggia recente. Coriandoli rosa che galleggiano nelle pozzanghere. Mi infilo tra la gente, riesco a vedere qualcosa. Mi viene un po’ da piangere per un misto di cose: l’emozione, la stanchezza, la rabbia. Tutto un vortice. Resto a guardare, esce il sole. Brumotti che firma gli autografi con la sua velina è la ciliegina sulla torta. Che la sola speranza che ha una donna per emergere sia sistemarsi con uno famoso o sorridere su un podio è una convinzione che non la estirpi. Una gramigna onnipresente. Hai voglia a nascondersi dietro un dito.

L’ultima tappa non me la immaginavo così. Forse ho chiesto persino troppo a me stessa. Arrivederci, Giro. Questa volta, sarò sincera, non mi dispiace per niente tornare a casa. Ho bisogno di stare tranquilla e di pensare ad altro. Di stare un po’ sul lago, l’unico posto che mi restituisce tutti i perché.
Grazie a tutti voi, fedeli lettori di questi diari scombinati. Oggi sono stata forse troppo prosaica ma ho promesso che qui avrei sempre detto la verità. E così ho fatto, anche questa volta.

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Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

6 risposte a "#GiornidiGiro | Torino"

  1. Leggo spesso ciò che scrivi e mi dispiace sapere che per te oggi è stata una giornata difficile. Ti ho cercato a lungo tra la folla sperando di poterti stringere la mano e avrei voluto farti i miei complimenti, butta giù un dente e riprendi a pedalare c’è chi tifa anche per te. Con stima
    Roberto

    1. Grazie Roberto, queste parole di supporto mi fanno bene. Anche Vincenzo in questi giorni ha dimostrato che a volte basta poco per ribaltare le cose. Unito al sorrisone di Chaves sconfitto, viene fuori una grande lezione.
      Mi dispiace che non ci siamo visti, ti avrei stretto volentieri la mano 🙂

  2. Prima volta che leggo. Belle parole.
    Praticamente eravamo nello stesso posto, con gli stessi sentimenti e pensieri.
    Solo che non ci siamo viste 🙂

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