Il sole sta scivolando via, resta un suo ultimo bacio su queste montagne così diverse da quelle di casa. Il cielo è spennellato di nuvole come in certi quadri del Canaletto e le vigne, i paesi della valle si preparano dolcemente alla sera. Ho questa strana malinconia che non riesco a togliermi di dosso. Sono distratta e allo stesso tempo ricordo tutto, sento tutto. Certe volte mi impongo un distaccamento totale da quello che già mi ha fatto male. Ma non riesco mai a rispettare i miei paletti. Cerco sempre di non perdere nessuna occasione importante ma quando succede mi spezzo a metà. Stasera mi consola il pensiero di dormire sul lago. Torbole è uno di quei posti che mi mettono serenità, che mi fanno sentire in pace. La risacca sulla spiaggia deserta mi guarisce. Mi fa pensare che c’è un canto di vita per ognuno di noi e trovarlo è una gran fortuna, anche se in quel momento ti sembra di non avere niente di buono.
Forse è per questo che non sono salita fino ad Andalo oggi. Mi sono fermata prima. Sul Fai della Paganella, su un muretto a bordo strada. Mi sono sdraiata con la schiena contro la montagna. Lo faccio spesso, quando aspetto il gruppo su una strada in salita. E’ un modo per sentire le cose. Mi piace ascoltare cos’hanno da dire i luoghi. Perché sono diversi da altri. C’è profumo di bosco e di pietruzze cotte dal sole di mezzogiorno, di erbe selvatiche, di maggiociondolo che appare, di tanto in tanto, a macchie gialle tra le robinie.
La montagna è il santuario del ciclismo. Lo sarà per sempre. Non si sa chi l’ha deciso ma è una di quelle cose nate spontaneamente e radicate come le radici di una quercia centenaria. La gente è pellegrina di quei chilometri fino alla vetta, qualcuno si ferma, qualcuno prosegue. E’ tutto così. Per ore. Fino a che arriva la corsa. E allora di religioso c’è il silenzio. La strada libera, il verso di un rapace in lontananza e nessuna parola. Non finisci mai di stupirti a guardare il ciclismo. Questo è uno dei momenti in cui l’attesa si può persino respirare. E’ vuota, c’è il nulla e poi il tutto. La ola della salita, i corridori. Zakarin che tiene d’occhio Valverde. Ha la maglia rosa di fianco ma è l’altro che fa paura, che sbuca d’improvviso quando meno te l’aspetti, figuriamoci se divide la testa della corsa con te e mancano pochi chilometri all’arrivo.
Poi gli altri. Jungels che sa di dovere almeno riprovarci. La maglia è lontana, d’accordo. Ma le montagne, per chi ha il coraggio di sfidarle, possono fare miracoli. E adesso la strada è quasi tutta in salita.
Vola qualche borraccia, vola qualche incoraggiamento. Vola il tempo che si prende tutto: attesa e presente. Mi tengo una di quelle borracce che i ragazzi ti lanciano come regalo. E’ l’unico che possono farti in quel momento per averli incoraggiati o aver fatto loro un sorriso di sfuggita. E a me fa sempre tenerezza tornare a casa con quel gesto d’affetto. Non ci sono sconosciuti nel ciclismo, tifoso e corridore condividono la strada e questo basta.
Le montagne attorno al lago si fanno scure e il lago diventa uno specchio grigio-azzurro dove i gabbiani giocano a rincorrersi. C’è l’odore di acqua dolce, di alghe che è in assoluto quello che amo di più al mondo. Per oggi basta una pizza nel mio ristorante semideserto preferito e la ninnananna della risacca contro il molo nella sera.
Per oggi, basta così.
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