Gabriele d’Annunzio li voleva così i ragazzi che partecipavano alle sue imprese: coraggiosi, fedeli, pronti a tutto. Così, un po’ come chi si fa chilometri e chilometri per tutta Italia in bicicletta, sotto il sole quasi estivo o con la pioggia torrenziale. Un po’ come Emanuele Sella, sempre all’attacco e oggi tradito due volte dall’asfalto scivoloso. Un po’ come Laurent Pichon che corre incerottato e bendato per tenere a bada le ferite dolorose di una caduta durante la prima tappa. Un po’ come Adam Hansen che era nella fuga partita quando i chilometri percorsi erano appena trenta e che la tenacia, la forza del sogno e, forse, quella fiducia incosciente nell’impossibile lo hanno portato al traguardo.
Sì, al Vate sarebbe piaciuto un ragazzo così. Uno iniziato alla bicicletta dalla MTB, che per due volte ha vinto una corsa dura, quasi selvaggia, in mezzo al deserto, come il Crocodile Trophy. Uno che, l’anno scorso, ha portato a termine tutte e tre i grandi giri: Giro, Tour e Vuelta. Uno con i muscoli da passista che oggi ha dimostrato che non di sole volate vive un uomo del treno, ma è capace anche di azioni spettacolari, in fughe con poche speranze. Adam Hansen si è unito a quella che sembrava essere la solita azione di giornata, resa forse ancor più complicata e incerta dal percorso travagliato. Quando mancano poco meno di novanta chilometri all’arrivo, comincia a piovere e sull’asfalto si crea una brutta patina scivolosa che rende le curve pericolose, come se fossero saponate. Piove. Piove sui nostri volti silvani. Piove sulle nostre mani ignude, sui nostri vestimenti leggieri. Piove e la pioggia veramente rende i volti dei corridori maschere lucide e gocciolanti: uomini che si fondono con la natura che è loro perenne compagna di viaggio, uomini che forse d’Annunzio avrebbe stimato per il sentimento panico che esprimono pedalando in bicicletta. Parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta, piove. Sì, cosa fare se non ascoltare? Non parla la parola, nel ciclismo. Ma i suoni. Le fughe hanno i loro rumori, i loro sussurri e, a volte, silenzi che dicono più di tanti discorsi, come quando qualcuno si stacca da ruota: nessuna parola, niente di niente. Eppure l’assenza pesa: i cambi diminuiscono, la fatica aumenta. Saranno trentacinque o poco più i chilometri mancanti quando al comando rimangono solo due uomini: Adam Hansen ed Emanuele Sella. Ma Adam sa di essere più fresco, il cuor nel petto è come pesca intatta, e a Pescara vuole arrivare da solo. Scatta sulla salita di Santa Maria de Criptis e abbandona il suo compagno di viaggio. Adesso è una battaglia da vincere in solitaria: lui e i chilometri, la forza di crederci. Il vantaggio sale, Adam pedala nella pioggia, passista tenace che non vuole darla vinta alla strada. Pedala con la consapevolezza di avere un occasione troppo importante per smettere.
Quando mancano pochi chilometri si accorge che sì, la fiducia in sé stesso non è andata sprecata. Lui è una specie di “nuovo Ardito”, uno di quei ragazzi che d’Annunzio scelse per andare a conquistare Fiume. Uno di quelli che il Vate avrebbe aspettato sul traguardo, proprio come fece con Bartali, nel 1935, vestito da ammiraglio. Ventuno colpi di cannone salutarono l’arrivo del Giro a Gardone Riviera. Ventuno colpi di cannone hanno onorato il vincitore oggi, a Pescara. Due luoghi del cuore per il poeta, il primo silenzioso e affascinante simbolo della vita aulente che predicava; il secondo sigillo permanente di un cuore bambino e sereno. Sì, d’Annunzio, se fosse stato ancora in vita, avrebbe avuto centocinquant’anni. Ma avrebbe accolto comunque in divisa di ammiraglio il giovane Hansen. Hansen incredulo, con le mani alla bocca per lo stupore, con le braccia alzate su un traguardo inaspettato. E’ sempre così, quando raggiungiamo obiettivi sognati che nemmeno pensavamo di poter arrivare a toccare con mano.
Fresche le mie parole nella sera, ti sien come il fruscio che fan le foglie del gelso nella man di chi le coglie. Fresche le parole di vittoria e di felicità, nella sera piovosa che scende sul Giro. Fresche le parole dette, urlate. E fresche le parole tenute dentro, a far compagnia ai pensieri nascosti. Pensieri che lavano l’anima come la pioggia là fuori, che fanno chiudere gli occhi con una cantilena dolce. Laudata sii, per il tuo viso di perla, o sera, perché accompagni il riposo di tutti i ragazzi che domani dovranno pedalare ancora.
D’Annunzio non amava il ciclismo. A lui piaceva il bello, il lusso e versi fatti di parole elaborate, scaturite da ciò che vedeva intorno, invece la poesia del ciclismo è diversa, nasce dal di dentro dei corridori, dalle emozioni create dalla loro fatica e dal loro sudore.
I sogni di grandezza dei ciclisti sono diversi da quelli di D’Annunzio; sono, a volte, anch’essi spropositati, ma puri come quelli di un bimbo.
Non sono d’accordo…d’Annunzio ha passato anni e anni della sua vita a plasmare la sua figura. Voleva diventare il “Poeta guida” e, proprio per questo, sia nelle scritture che nella sua esistenza, ha cercato di trasmettere il concetto di vita “aulente”, aristocratica, nonostante i suoi debiti. E’ per questo che l’idea che si ha di lui è un po’ stereotipata: l’intellettuale che non usciva mai dalla sua dimora e passava il tempo a fare l’amore e a scrivere chiuso nelle sue stanze. In realtà d’Annunzio amava lo sport. Certo non lo vedeva come un’esaltazione della fatica ma, piuttosto, come esaltazione dell’umanità in sè, della vittoria sul proprio corpo e sulle proprie potenzialità. Sì, amava vincere. Voleva vincere. Ma questo, alla sua personalità fortemente egocentrica, si può concedere.
Ti consiglio di leggere qui: http://archiviostorico.corriere.it/2008/luglio/13/Quando_Annunzio_nominato_atleta_dell_co_9_080713142.shtml
Comunque il pezzo non era propriamente un voler far entrare a forza il Vate nel mondo del ciclismo. Piuttosto un omaggio e un ricordo, tramite anche le sue poesie fortemente evocative. Anche il ciclismo lo è. Uno scatto, un’azione, una vittoria o una sconfitta evocano emozioni che, scritte, sono come poesie.