Non mi piace il riciclo dei post. Ma oggi farò un’eccezione. Certi eventi, specialmente quelli più drammatici, scritti più volte suonano ridicoli. Non c’è più nulla da raccontare quando una vita si spezza: tutto quello che poteva esserci, i sorrisi, le vittorie e anche le sconfitte, si trasformano nella malinconia del ricordo. Per questo ricondivido con voi che seguite il blog questo pezzo che avevo scritto in memoria di questi due ragazzi, Wouter Weylandt e Gilles Villeneuve, che se ne sono andati in sella e al volante della loro passione, gli stessi giorni di maggio.

Siete sempre con noi.

 

Ci sono numeri che vengono listati a lutto. Numeri che ricordano un momento troppo triste per farci trattenere le lacrime. E’ successo così per il numero 108 che Wouter Weylandt portava sulla schiena, la mattina del 9 maggio 2011, alla partenza della terza tappa del Giro d’Italia, prima di andare incontro alla discesa del Passo del Bocco, che l’avrebbe portato via per sempre dalla vista dei suoi cari. E’ successo così anche per il numero 27 che stava sulla lucida Ferrari di Gilles Villeneuve, nelle prime ore del pomeriggio dell’8 maggio 1982, prima di schiantarsi a 225 km/h sulla pista di Zolder.

La bicicletta e l’automobile non hanno niente in comune. Quattro ruote, un piccolo posto di comando e un motore potente una; due ruote, una sella e nessuna speranza di poter andare avanti senza due gambe che la guidino, l’altra. Wouter e Gilles, il belga e il canadese, non avevano niente, o quasi, in comune. Sì perché Gilles era nato con una vocazione particolare, quasi ossessiva, per i motori. Cominciò giovanissimo a correre con le motoslitte e, in quei momenti, guidando dei mezzi così poco stabili, tra la neve, imparò ad essere coraggioso e spericolato. La Formula Uno gli diede il nome di “Aviatore” per il suo modo di guidare spettacolare. Gilles volava sull’asfalto e diventò presto l’idolo delle folle. Wouter è stato un uomo del treno di Tom Boonen, uno dei cavalieri che assistono il campione. Era un ragazzo che amava la bicicletta, un velocista, che, a volte, nonostante le possibilità di ritagliarsi dei bei successi, non esitava a fare il “lavoro sporco”, a mettersi al servizio degli altri.

Cosa avevano in comune? Niente o forse tutto. Un filo invisibile e tenace unisce queste due vite: la passione e, forse, anche l’amore per la velocità. Gilles Villeneuve aveva per le automobili una dedizione sfrenata e Wouter Weylandt adorava la bicicletta, si era consacrato a lei come solo i ciclisti sanno fare. E vinceva in volata, sfidando il vento a più di cinquanta all’ora, proprio come Gilles che, sull’asfalto rovente delle piste, spingeva la sua vettura fino allo sfinimento. Una curva e una discesa hanno spento le luci della loro vita. Tutti e due se ne sono andati in un giorno di maggio, per un incidente all’apparenza banale, al volante e in sella della loro grande passione.

Ma lui non se ne è andato” disse Jody Scheckter, ai funerali di Gilles Villeneuve. “La memoria di quello che ha fatto sarà sempre qui.” Sì, loro non se ne sono andati. Non se ne va mai il ricordo di chi ha lasciato, su questa terra, le tracce indelebili della sua passione. Grazie Gilles per i tuoi occhi dolci che sapevano vedere la pista come un circo. E grazie Wouter perché in questi giorni abbiamo visto che tu sei ancora in mezzo ai tuoi compagni, che li proteggi da lassù. Grazie per quel tuo sorriso a Middelburg, dopo la vittoria. Sarà sempre con noi, quel sorriso, ogni volta che penseremo a te.

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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