E’ domenica. E l’estate spagnola del millenovecentonovantadue è rovente, il termometro va oltre i trenta gradi. Barcellona abbraccia l’Olimpiade e i tifosi italiani vorrebbero abbracciare gli azzurri perché in loro sono riposte tutte le speranze per la vittoria, dopo i magri bottini passati. Sulle biciclette lucide, pronto al via, c’è anche lui: Fabio Casartelli. Ragazzo dai capelli scuri e dal sorriso timido, cresciuto in un paesino ai piedi delle alpi comasche, con il nonno e il papà ciclisti. Fabio sa che i suoi compagni lo proteggeranno durante la corsa: è lui il designato per fare centro e portare a casa quell’oro che tutti desiderano da tempo. Ha le caratteristiche giuste per quel circuito, lo ha provato molte volte. E forse gli batte il cuore per quella responsabilità che gli hanno messo sulle spalle, quella che tutti i ciclisti, anche se molto giovani devono affrontare, quando sono destinati a diventare campioni.

Fabio non delude le aspettative. Sul rettilineo di arrivo è con due avversari: l’olandese Erik Dekker e il lettone Danis Ozols. Si studiano, i tre e, quando, in telecronaca, Adriano De Zan urla: “Parte Casartelli” il respiro si ferma. La volata sembra interminabile ma, sull’asfalto rovente di quella domenica estiva, la bicicletta del giovane comasco passa per prima sulla linea bianca. Alza le braccia, Fabio, e anche i due che si sono giocati la vittoria assieme a lui. Perché? Forse per la gioia incontenibile di essere lì, di essere un poco come in un sogno, di aver guadagnato sì il secondo e il terzo posto ma ad un Olimpiade. Qualcosa che è un’enormità per dei ragazzi che sono su una sella da quando erano piccoli.

Un’enormità anche per Fabio che, all’arrivo, è soffocato dall’affetto e dagli abbracci, e, dice lui, sa di essere entrato nella “cerchia degli eletti”. Alfredo Martini, vedendo quella volata, pochi giorni dopo, disse: “Ha un fisico eccellente, e le doti giuste. Poi vince spesso. E non c’è miglior allenamento per un corridore che la vittoria.”

Sono diciassette anni che Fabio Casartelli non c’è più. Se ne è andato sulle strade del Tour, un giorno di luglio, mentre cercava la vittoria. Ma, oggi, voglio ricordare solo quel giorno di agosto, a Barcellona. Quei sorrisi, quell’eccitazione italiana, la tuta tutta azzurra, toccata da tante mani orgogliose, le lacrime, quel sapore unico e particolare che ha la consapevolezza di aver acciuffato un sogno. Voglio ricordare Fabio così, mentre si toglie gli occhiali, incredulo, sudato, dopo la volata. Così, come un ragazzo sulla sua bicicletta.


Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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