Dal finestrino entra l’aria della montagna. La diga grigia del Vajont incastonata nella gola continua a vegliare le case ridenti nel sole, sopra quella surreale tomba di cemento si ammassano le nuvole grigie come se dovesse sempre arrivare una tempesta. Non credo che la luce nemmeno arrivi lassù, in un posto che è stato maledetto anche nelle giornate di sole.
I paesi qui sono una chiesa e un mucchio di case, la domanda che ti fai sempre è come possa essere una vita così, alzarsi la mattina e andare a prendere il pane – un solo tipo, forse due – innaffiare i fiori, guardare le montagne, tagliare la legna, accendere il camino anche d’estate e guardare la luna scivolare in modo inquieto al di là della valle. Ma qui è diverso, dicono tutti. La vita non costa cara, il lavoro c’è, la gente è buona.
Che questo posto sia anacronistico lo dice la cabina della telecom affacciata sui declivi verdi di pini. Se ti dessero un unico solo gettone – un’unica possibilità – chi chiameresti adesso?

Un gruppetto di ragazzi con i cappelli rossi a punta come folletti gridano uhh uhhh uhh da una roccia con suoni primitivi mentre la corsa vola ai meno cinque, quattro, tre, due, uno. Le montagne, gli ultimi giorni per la battaglia e le Dolomiti: lo scenario epico e romantico che il ciclismo chiede da sempre.

Roglic vuole attaccare alle Tre Cime di Lavaredo, un posto iconico che Geraint Thomas neanche conosce – spero che sia uno scherzo – e Thibaut Pinot riprende la maglia azzurra anche se perde un’altra occasione per mostrare il suo tatuaggio.
Solo la vittoria è bella.
Mentre il terzo gruppetto risale dall’orizzonte degli ultimi trecento metri ho una di quelle strane visioni, rivedo come mille altre volte l’attitudine, l’attacco. Una frazione di secondo.
Sì, la vittoria è bella ma la gente si dimentica il successo – e pure tu – però l’azione – pura, diretta, intensa – quella è una sensazione che ti ricordi per tutta la vita e oltre.

Il buio rende borghi come questo ancora più sperduti nel nulla, inquietanti nel loro silenzio profondo e vuoto. I surreali murales di Cibiana vegliano le stradine deserte prima che le streghe escano per il loro sabba tra i boschi di pini e il ruscello che gorgoglia là sotto. Il Giro è così, allo scadere dei suoi giorni, assume aspetti magici.
Mi giro e la montagna ha inghiottito la luna.