L’autogrill è deserto. Fuori c’è la Cisa con le nuvole basse e grigie gonfie di pioggia che scivolano giù dal Passo e avvolgono tutto come se al di fuori di questo quadrato d’asfalto non ci fosse più niente. Il ronzio costante di qualche led fa sembrare questo posto una scena di un film dove il protagonista viaggia attraverso l’America da Est a Ovest su una macchina scassata che lo potrebbe lasciare a piedi da un momento all’altro. E le notti sono immense, e i giorni pure.
Ma questo è solo l’ultimo avamposto prima del mare, prima che il paesaggio si apra nella luce poetica e surreale della Versilia, il suo spirito art-deco di quando non esistevano i bikini, non esisteva internet e dovevi essere bravo per forza con le parole perchè nessuna intelligenza artificiale ti suggeriva cosa scrivere sulle lettere d’amore. 

Mentre la corsa viene verso il litorale, grandi nuvole nere si ammassano sulle colline anche se l’orizzonte resta sereno. Esiste un mese all’anno in cui qui succede tutto il contrario di tutto: a Viareggio danno vita a enormi personaggi di cartapesta che sembrano usciti dalle fiabe, come questo vecchio cantastorie che assomiglia a Davy Jones sul suo Olandese Volante appena uscito dagli abissi che guarda tutti noi dall’occhio della tempesta, con una cantilena che si perde tra il tintinnare delle corde sui piloni delle barche.
Niente è come sembra. 
E com’è allora? Forse saremmo dei pazzi ad arrenderci alla realtà così com’è, cruda e superficiale come questa luce bianca che ti fa chiudere gli occhi e non ti fa vedere le visioni. Come sarebbe tutto questo – tutto quanto – se non sapessimo che la realtà esiste anche nella percezione? Più tranquillo forse, meno intenso di certo. 

Sul rettilineo lucido di pioggia è una giornata come le altre, c’è uno strano senso di serenità che non è per niente come sembra. La verità è che il Giro è un temporale ambulante, in tutti i sensi del termine. Discusso, piagato, abbandonato: è solo il fantasma della corsa che era. Una mela rossa e succulenta rosa dai vermi, una manciata di corridori persi nell’indecisione di battersi per qualcosa che valga la pena o semplicemente lasciare perdere. Nelle pozzanghere dell’arrivo guardiamo noi stessi, le mattine in cui ci siamo alzati senza riconoscerci, viandanti nel mare di nebbia, solo la strada è stata capace di tenerci insieme.
Normalmente il fatto che arrivi la fuga in una tappa di velocisti è un miracolo, ma anche questo – alla fine – non è come sembra. Il gruppo è stanco già all’inizio della seconda settimana e non c’entrano le gambe, il covid o le cadute. È la testa. 

La Versilia è un incanto appena i raggi del sole la sfiorano, anche solo per un momento. I papaveri sono chiazze di vino sulle tavole della domenica, grandi soffioni che non ho mai visto brillano di gocce per le piogge recenti, romantici passaggi a livello senza importanza solcano terre di nessuno. 
Ci ritroveremo altrove, non ci sarà bisogno di parole.

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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