L’ultima delle Classiche e forse la più malinconica. L’Amstel Gold Race è stata la corsa della birra senza birra, delle patatine che assomigliavano alle frites ma non erano loro. Una città bella come un quadro, cieli che promettevano uragani sopra i prati con il sole e le case di campagne, le capre e i mulini. Inquietudine e dolcezza in 790 chilometri che io e la mia compagna di viaggio abbiamo percorso per inseguirla e alla fine amarla.
Qui sotto i soliti appunti sparsi su cosa fare prima e dopo la corsa.

PLAYLIST 🎧

These days – Rudimental
Hot n cold – Katy Perry

KESTEREN

Oramai ho perso il conto delle ore che stiamo passando in macchina. Stiamo letteralmente facendo il giro dell’Olanda e per due che non ci hanno mai messo piede è già un bel match. Stiamo seguendo Teus che dopo averci mostrato un po’ di frutteti e fatto venire l’acquolina in bocca con ceste e ceste di mele, sta guidando il suo pick-up bianco con un paio di zoccoli di legno olandesi ai piedi. Dato che con quegli stessi zoccoli ha anche saltato un fosso di due metri è ufficialmente il nostro idolo indiscusso. Ha detto di volerci portare a vedere una di quelle cose che più tipiche non si può: un mulino tradizionale, anche se ricostruito negli anni Novanta sulle ceneri di quello vecchio, la cui origine è avvolta dal mistero.

Molen de Zwaluw
Batterijenweg 19
4041
Kesteren

In ogni caso, il mulino è funzionante e con l’energia delle sue pale si produce farina. Dentro poi è anche un ristorante – moriamo di fame, strano – e ci sono più sale per le cerimonie, cosa che lo fa sembrare una specie di torre fatata piena di specchi e angolini e fiori e zoccoli lucidi e colorati appesi al soffitto. Saliamo per le scale strette e alte, c’è una stanza per i bambini con le sedie e i tavoli e questi pupazzi di conigli bianchi rotondi e con la bocca a x. Teus ci spiega che è un cartone animato famoso che è stato creato da un’olandese e che dovremmo conoscerlo. Wikipedia dice che è nato nel 1955 e si chiama Miffy. Sembra una specie di Hello Kitty, ma più coccoloso. Sento che ne vorrei uno.

Usciamo e giriamo attorno al mulino, c’è un canale e sull’altra sponda due pony si sono mangiati tutta l’erba, non ne è rimasto neanche un filo. Li chiamo ma non ci guardano neanche. C’è una luce che sembra di essere immersi in un dipinto, il sole tenue eppure dolce del pomeriggio illumina i campi e i bambini che giocano sulle altalene e le acque azzurrine di un altro canale dove Teus ci indica due alberi che sembrano radici. Penso siano salici, lui dice che qui è facile vederli crescere vicino all’acqua, con i tronchi così scavati, quasi vuoti. Risaliamo la strada fino alla principale che è deserta. L’Olanda è un paese al di sotto del livello del mare e i suoi abitanti convivono da secoli con questa perenne sfida tra uomo e natura con canali, dighe e mulini. Teus ci dice che basta pochissimo perché le campagne vengano sommerse per poi riemergere ai primi raggi del sole. Il mulino là in fondo veglia questa quieta Atlantide dai colori acquerello che scompare e ricompare come nelle leggende.

Entriamo per mangiare qualcosa. All’inizio non me ne accorgo, per una come me che a merenda e colazione è molto British, le cinque e mezza è ancora l’ora del tè. Evidentemente gli olandesi sono abituati a cenare molto – ma molto – presto perché, all’interno ci sono tavoli di bambini che mangiano patatine. Ordiniamo pannekoeken che è appunto questa via di mezzo tra pancake e crepes, serviti su piatti larghi come quelli per la pizza e con mille ingredienti aggiunti sopra durante la cottura. Il mio profuma di cannella, sopra ci sono le noci, l’uvetta, la mela e zucchero ed è guarnito con una pallina di gelato e una crema alla vaniglia. Non proprio una cosa dietetica. Però mi è andata bene, specialmente quando vedo quella della Miky che ha i peperoni, il bacon, il formaggio e chissà cos’altro. Da bere mi faccio consigliare da Teus qualcosa di tipico e mi fa ordinare una trappista di quel colore che piace a me, rosso scuro e denso. Leggendo l’etichetta scopro per caso che è una delle cinque birre trappiste che non sono prodotte in Belgio.


I bambini sono usciti a giocare, c’è il profumo di vaniglia e fuori la luce è quasi dorata, rende ancor più rossi i mattoni, ancor più verde la campagna. Sembra di essere in un posto di confine a guardare l’infinito. Teus dice che ci sono tantissime cose da vedere qui intorno ma siamo troppo lontane da Maastricht per tornarci. Ci racconta dei tulipani, della prima grande crisi olandese quando nella seconda metà del Seicento i bulbi dei tulipani erano così richiesti che il prezzo salì alle stelle, calando drasticamente dopo poco tempo e questo mandò in rovina moltissime famiglie. Guardo la mia birra nel bicchiere: è da mezz’ora che piccole bollicine continuano a ribollire dal centro e formano disegni e volute strane sulla superficie come se fosse viva. Segnali di fumo dagli spiriti come respiri sui canali nella quiete della sera.

MAASTRICHT (PART I)

Sono le nove, siamo stanche e direi che il pannekoeken ci ha fatto largamente da cena ma nonostante questo non abbiamo voglia di restare chiuse nel nostro nuovo piccolo quartier generale. C’è una città che non abbiamo mai visto là fuori.
Maastricht ha il fascino di tutte le città del Nord, l’aria dolce e malinconica che ti fa innamorare subito, appena la guardi negli occhi, nei suoi orologi gialli che segnano il tempo come se fossimo ancora nell’Ottocento, nella gente che pedala sulle biciclette con le ruote grandi come se fossero velocipedi.

Nessuna macchina e le luci soffuse dei pub dove si spilla la birra dorata, ambra che cristallizza tutto. Il nostro appartamento è in una via trasversale della principale che porta al Saint- Servatium bridge, il ponte più antico d’Olanda sopra il fiume Mosa, che attraversa tre nazioni per sfociare nel Mare del Nord. Lo stesso di Namur. C’è una linea invisibile, un collegamento di sangue.
Dall’altra parte del ponte, il centro di Maastricht è immerso in una pace surreale ed è così strano sentirsi al sicuro. Restiamo calamitate da un negozio che ha i macarons di tutti i colori, sembra chiuso ma la signora vede due idiote incollate alla vetrina e, sorridendo, ci dice che è vero, sta chiudendo, ma se vogliamo qualcosa possiamo pure entrare. In estasi, dico alla signora che siamo appena arrivate dall’Italia, come per rassicurarla che quella gentilezza ce la siamo meritata. Io mi fiondo sul caramello salato, uno dei miei gusti preferiti e senza saperlo entro automaticamente nel mood olandese visto che solo dopo scopriremo che c’è questa abitudine di mettere il caramello ovunque.

Pinky
Onze Lieve Vrouweplein 1
6211
Maastricht

Mentre scattiamo foto come cinesi ai nostri macarons davanti alla cattedrale che si affaccia sulla piazza piena di tavolini veniamo irrimediabilmente attratti da mille e mille candele accese che tremano tra il buio e l’oro di una luccicante pala d’altare. E’ la cappella della Stella del Mare, dicono che la statua della Madonna in legno abbia compiuto miracoli nei Secoli, questa è la cattedrale più antica della città. Mi strega il contrasto netto tra l’ombra così nera e la luce così accecante contro il blu della vetrata di notte, come se fossimo tornate indietro d’improvviso, per un secondo. Accendiamo una candela in mezzo alle altre poi torniamo verso il fiume, dove il lampioni si specchiano nell’acqua scura come nell’Impero delle Luci mischiandosi proprio in quella sensazione di dolcezza e mistero. Nella nostra via c’è un cinema abbandonato dal quale spira un’aria gelida e inquietante come dalle vecchie cantine, dalle finestre illuminate delle case vegliano strani gatti cinesi di ceramica e bamboline. Una bici appoggiata vicino ad un ingresso non ha il lucchetto.

La mattina dopo entriamo convinte in un bar all’angolo sotto casa – e quindi? Sì, chiamiamo casa un sacco di posti nel mondo – che avevamo già puntato la sera prima. In realtà non è proprio un bar, è un locale che sta aperto dalle nove a mezzanotte e fa praticamente di tutto.

De Poshoorn
Stationsstraat 47
6211
Maastricht

Dentro non c’è quasi nessuno ed è per metà di legno e per metà di piastrelline bianche, ci sediamo e alla signora che ci accoglie con un sorriso chiediamo la colazione: due croissant, un tè per me e un caffè per la Miky. Torna con sei tipi di tè da scegliere – qui sono molto tradizionalisti con questa bevanda – e i croissant caldi con la marmellata e il burro da spalmarci dentro. Poi ci porta due bicchieri di spremuta d’arancia, dicendo: “Vitamina!”
Buongiorno, Olanda. Nel mondo servirebbe un po’, anche solo un po’ di questo per svegliarci meglio la mattina: la gentilezza.

MARGRATEN

E’ tutta la mattina che cerchiamo la Bora in ricognizione. Da quando hanno lasciato l’hotel non li abbiamo incrociati nemmeno una volta e la geolocalizzazione di Cesare è servita solo a ritrovarci almeno un dieci volte nel bel mezzo del nulla, tra le case di campagna e lo starnazzare delle oche in lontananza sotto il cielo livido delle mattine del Nord. Da Margraten ci siamo passate più volte, su Google segna il memoriale americano e penso che dovremmo andarci, anche solo per dieci minuti. All’ingresso c’è un viale ampio che sale la collina, una quiete improvvisa, il vento che fa sventolare la bandiera in lontananza, che increspa appena l’acqua di una vasca rettangolare che riflette il cielo.


Ottomila americani morti durante la Seconda Guerra Mondiale riposano in questo silenzio, mentre il sole è un’ostia pallida dietro le nuvole. Le croci sono così bianche, l’erba così verde. Tutto in ordine per cancellare la confusione, per cancellare l’orrore. Io e la Miky camminiamo lontane, è giusto così, non puoi parlare quando senti la tristezza come un pugno improvviso nello stomaco. Usciamo in una pace surreale, nel vento della collina una signora porta un mazzo di fiori e noi ci fermiamo a vedere i confini di guerra nella mappa all’ingresso. L’Europa a pezzi, come le vite.

Netherlands American Memorial
Amerikaanse Begraafplaats 1
6269
Margraten

VALKENBURG

Stiamo tornando a Valkenburg per capire se il Cauberg è veramente quello che abbiamo visto passandoci in macchina. A pranzo, dopo secoli, ho ritrovato un Croque Monsieur autentico – o quasi – anche se l’insalatina anni ’90 e la salsa barbecue erano lievemente fuori luogo. Ma non si può essere perfetti, era comunque un locale storico con i cavalli volanti e i fiori appesi al soffitto. Il trash lo approvo sempre. Valkenburg è una cittadina turistica – forse troppo – la via principale è per il cinquanta per cento fatta di ristoranti con il tipo di menù che mi fa un po’ venire l’orticaria – hamburger, lasagna, patatine, pizza –  e per l’altro cinquanta di negozi di souvenir che trovi anche fuori dalla metro a Milano, eccetto gli zoccoli di tutte le dimensioni con dipinto sopra il Mulino. Per il resto sarebbe anche un posticino caratteristico, specialmente a guardarlo dall’alto con un aperitivo in mano sulla terrazza appena sotto le rovine dell’antico castello, dove si vedono tutti i tetti delle case e riesco anche a scorgere una mansarda che sembra quella degli Aristogatti.
Ma sono le quattro, vediamo sta collina.


Sì perché Valkenburg ha un ruolo importante nel ciclismo proprio per il Cauberg, l’asperità che caratterizza l’Amstel Gold Race oltre che ad essere stata sede dei Campionati del Mondo per cinque volte. Infatti mentre saliamo a piedi, notiamo tutte le targhe con i nomi di chi quassù è diventato campione del mondo. Che poi…quassù è una parola grossa. La collina è uno strappo breve dove la pendenza massima oscilla tra il 10 e il 12% che certamente per due sportive come noi è causa di tachicardia cronica ma per un finisseur di alta classe questo sarebbe solo un trampolino di lancio, tipico esempio la fucilata di Philippe Gilbert al Mondiale 2012. In ogni caso queste perle sono un ricordo, perché il Cauberg adesso si affronta per l’ultima volta a settanta chilometri dall’arrivo e, da qualche anno, non c’è più trippa per gatti, anche se la scritta FINISH è ancora bianca come se fosse stata scritta ieri. Rischio due volte di essere investita dalle macchine per fotografarla e, più tardi, sana e salva, continuo a chiedermi se il fascino di questa corsa sia nelle circostanze, nel percorso o nella sua allure. Sempre che un fascino esista.

MAASTRICHT (PART II)

La mattina ha il profumo dei waffles caldi, del Gouda sciolto nel panino – no dai non lo assaggio, io che sono abituata ai formaggi delle montagne lecchesi potrei rimanerci molto male – e il colore intenso dei tulipani al mercato in una delle piazze della città.

C’è il sole come se fosse estate, fa caldo e abbiamo il tipico look da star in incognito – leggersi da zingare – e la Miky confida in un bike cafè che chiaramente ha a che fare con lo scatto fisso e se ne esce con un bicchierino molto hipster che le fa perdonare il sapore tra il sì e il no.

Alley Cat Bikes & Coffee
Hoenderstraat 15-17
6211
Maastricht

Su Instagram, Peter – adoro quando i follower danno ottimi consigli – mi suggerisce un posto dove si mangiano tutte cose naturali e attraversiamo la città per trovarlo. Durante il tragitto ci facciamo distrarre dal profumo intenso di pane che arriva da un mulino antico, entriamo e ci troviamo dentro pure una foto di Tom Dumoulin in maglia rosa, star del luogo giustamente. Alla fine dopo aver guardato la vetrina per cinque minuti prendiamo un paninetto giusto per non morire e come dovere verso le cose tipiche.

Il locale che stiamo cercando è in un quartiere residenziale dove gli alberi di pesco e di ciliegio sono in fiore e i giardini sono piccoli e curati, con le vasche per i pesci rossi e tutto il resto. Entriamo e, in fondo, sappiamo già cosa ordinare: AVOCADO. La cameriera ce lo porta sopra un pane in cassetta che producono loro, fatto con praticamente qualsiasi cosa: noci, semi, mandorle, cereali e grano saraceno che ti si impasta in bocca con un sapore strano ma buonissimo, davvero.

Un avocado toast molto alternative come il posto in cui viene servito. Sulla cassetta di legno sopra le nostre teste c’è scritto Bruxelles.
Ciao.

Bjizonder
Luikerweg 33
6211
Maastricht

Mentre torniamo verso il centro con la lentezza del sabato pomeriggio, ci fermiamo a prendere un waffle, sono più dolci di quelli belgi e ci sono solo due alternative: lisci o filled con stecche di cioccolato fondente che si sciolgono all’interno. Non c’è da lamentarsi.

Ci sediamo a guardare il fiume che scorre azzurro di riflessi con la gente attorno in maniche corte, seduta ai tavolini dei bar. Maastricht è una frenata brusca mentre stai facendo tutto a duecento all’ora; nell’istante in cui tocchi il freno ripensi a tutto, cambi ritmo per un secondo, stai sottosopra, capisci che si può vivere in mille altri modi rispetto a quelli che ci vengono imposti. Sentire dovrebbe essere la bussola per ogni nostro Nord.

Posted by:Miriam

Nata in Brianza, nella calda notte del 30 luglio 1991. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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