Mi sono sempre piaciuti gli editoriali. Parlano dell’attualità in veste inconsueta: un approfondimento che, spesso, è personale, che lascia sempre tra le righe un po’ di chi l’ha scritto.
Sentendo l’intervista di Ophra a Lance Armstrong mi sono detta che le grandi testate si ricordano del ciclismo solo quando si parla di doping o quando, disgraziatamente, muore qualcuno. E che un editorialista, probabilmente, domani mattina sarebbe uscito con il solito titolo “La confessione di Armstrong” o cose creative come “Il pinocchio del ciclismo”. A me sarebbe piaciuto qualcos’altro. Un colpo di teatro migliore che quello di raccontare l’epopea di un divo pentito a uno show televisivo.
C’è una cosa che mi ha colpito, di quello che ha detto Lance, a proposito del “perché” abbia fatto uso di quelle sostanze, della sua ricerca forsennata di una vittoria che, alla fine, si è rivelata penosamente costruita. La malattia, a quanto pare, è la chiave per leggere tutto quanto. “Mentre mi stavo curando” ha detto Armstrong “sentivo dentro di me una forza positiva: avrei fatto di tutto per continuare a vivere. Ho combattuto, come è nel mio carattere.” E poi, forse, è scoppiata quella scintilla. Il fatto di aver sconfitto il cancro è diventato il pretesto per dimostrare a tutti, persino a sé stesso, che Lance Armstrong era invincibile. Non solo nella vita ma anche nello sport. Quella vittoria meravigliosa che l’aveva riportato ad essere un uomo è diventata, paradossalmente, la sua ossessione. Non bastava a Lance ritornare in gruppo, riavere l’affetto dei suoi compagni, dei suoi tifosi. Voleva che tutti, nel mondo intero, dicessero: “Hey, quello è Armstrong. Ha sconfitto una malattia tremenda e ora è sul podio del Tour de France”. Sette volte. Una specie di vortice che ha avuto per forza bisogno del demone doping per continuare a girare.
Penso a tutti quelli che sono rimasti schifati, inorriditi, stupiti davanti alle parole di ammissione dell’ex campione. Mi sono sentita così anche io, specialmente perchè il ciclismo non si merita tutto questo fango, non si merita di essere, davanti agli occhi del mondo, la pecora nera degli sport.
Ma c’è qualcosa che mi è venuto in mente, mentre sentivo l’intervista. Ho pensato ad Alessandro Proni. Certo forse i tg che devono riempire quei cinque minuti dedicati alla disfatta del vincitore di sette Tour, non sanno nemmeno chi è. Anche Alessandro ha combattuto contro una malattia. Non la sua ma quella di sua sorella: una leucemia. Nel 2010, rimasto senza squadra, si è sottoposto ad un intervento per donarle il suo midollo osseo, per starle vicino, per farle un po’ da gregario, e correre insieme per la vittoria sulla vita. Purtroppo questo non è stato sufficiente. Lei non c’è più ma Alessandro è tornato in gruppo. In silenzio, senza che i giornali mettessero i titoloni in prima pagina. Ha ricominciato a pedalare, anche dopo la battaglia contro la leucemia, dopo il suo sacrificio per una persona importante, speciale, a cui voleva bene.
Lance e Alessandro non hanno assolutamente niente in comune. Solamente il mostro della malattia: a uno ha inculcato la sete mai soddisfatta di successo, di vittoria; all’altro ha insegnato che quello che conta è combattere con le nostre forze. Non c’entra il mondo, non c’entrano gli applausi, i consensi, il vedere Parigi dall’alto: l’immagine che guardiamo allo specchio non sarà mai nitida e serena se la costruiamo con le bugie e i pretesti. Ma solo con l’onestà di aver fatto tutto quello che era possibile. Di averlo fatto bene, di averlo fatto con affetto, con amore, con passione. Non c’entravano i Tour, Lance: ti avrebbero amato lo stesso. E solo per il sano coraggio che avevi avuto di remare contro le intemperie della vita. Non c’entravano quelle sette vittorie, Lance. La tua immagine pulita l’avrebbero amata per sempre, non solo per qualche anno.
E’ questo l’editoriale che vorrei. Fare capire, anche solo per un istante, a chi legge le prime pagine del giornale, magari distrattamente, magari macchiandole di caffè, che il ciclismo sì, alla fine, è come il mondo. Ci sono gli imbroglioni, gli assetati di vittorie insane, gli arroganti. Ma ci sono anche gli onesti. Quelli che pedalano in mezzo al gruppo, gomito a gomito a tanti altri, che si portano dietro il loro dolore e la loro fatica. Solo con il loro corpo e il loro sangue nelle vene. Vorrei un editoriale così, che per una volta, non parlasse della notizia che si pesca nella superficie mossa dalle correnti ma che vada in profondità, a cercare quelli che sono puliti e si devono trascinare il fango di altri. Che amano il ciclismo e lo rispettano. Che hanno ripreso in mano la bicicletta e l’hanno trasformata in uno strumento di riscatto. In silenzio.
Hai assolutamente ragione, Miriam.
D’altro canto temo (e ripeto TEMO, affermandolo con molta tristezza ma pure molta rabbia) che sportivamente il ciclismo sia sempre più una specie di zombie, e che lo sia diventato anche per colpa dei suoi dirigenti “politici”, ovvero di chi lascia che queste vicende accadano e si preoccupa solo di difendere il carrozzone generale nonché (soprattutto!) i soldi che vi si possono mungere. Noi tifosi andiamo ancora lungo le strade perché, credo, vediamo nel passaggio delle corse una sorta di proiezione di ciò che è la storia e il mito del ciclismo, il fascino della sua essenza e il sogno di ciò che potrebbe essere. Se non fosse per questo, sarebbe come veder passare un corpo in coma profondo…
OK MIRIAM!
Ciao Antonella! Grazie che segui sempre il blog 🙂 …Luca hai ragione quando parli dei dirigenti. Armstong dice di sentirsi a disagio parlando degli altri. Per forza: facendo nomi non rovinerebbe solo la sua immagine ma getterebbe ombre di sfiducia su tutti. E il ciclismo diventerebbe, ancora una volta, il mostro da cacciare, persino dalle Olimpiadi, come si è vociferato…La cosa più logica è ricominciare da capo. Adesso ci sono più controlli e sono sicura che i giovani di oggi hanno voglia di essere puliti e onesti. Anche perchè Lance è di esempio: un’immagine falsa, costruita sull’imbroglio, prima o poi cade. E quando cade fa più rumore di quando vince. Perciò non vale mai la pena…Io ho fiducia. C’è chi dice che i giovani siano ingenui. Io penso, piuttosto, che siano “genuini”.
Carissima Miriam,
quello che tu scrivi è vero, lo condivido e sono gli stessi ideali grazie ai quali pubblico sul blog http://www.nonsolociclismo.com. Ora mettiamo da parte Armstrong, OPRAH e il doping per parlare di Alessandro Proni. Ti racconto una piccolo aneddoto. Proni è in fuga alla tappa di Firenze al Giro d’Italia 2013. In tv si traccia il profilo dei fuggitivi e per Alessandro c’è poco o nulla anche perché viene ripreso dal gruppo. Che fare? Conoscevo Alessandro, la sua storia e il suo passato avendoci corso contro negli under23. Scrivo un messaggio a Cassani in diretta poi una mail a Pier Bergonzi incentivando entrambi a portare alla luce questa storia. Allo stesso tempo chiamo l’ufficio stampa della Fantini per concordare un’intervista con Ale che avviene. Pochi giorni dopo, Bergonzi risponde e dice che porterà Alessandro al Processo, Cassani va ad intervistarlo e in contemporanea esce la mia intervista… Secondo te chi era lì al Giro 24 ore su 24 con i corridori al posto di chiacchierare perché non ha raccontato questa storia ed è dovuto arrivare il giornalista di provincia per dare una spinta? E quando Alessandro è rimasto senza squadra al termine della stagione perché nessuno si è messo di traverso pur conoscendo i fatti? Andava bene sfruttare l’immagine e la storia quando serviva poi quando i riflettori si spengono ciao e arrivederci. C’è un post sul mio blog che è girato parecchio contando oltre 10.000 visitatori unici dove dichiaro apertamente questa incoerenza. Ora in tanti riprendono la storia di Alessandro ed è giusto che sia così, ma ormai è troppo tardi. Proni si è rifatto una vita e dà consulenze biomeccaniche ai ciclisti. Chi ha a disposizione grandi pagine di giornale ha mani troppo piccole per scrivere Che ne dici?
Hai ragione Giovanni. Ti dirò di più: secondo me molte volte non hanno solo le “mani troppo piccole” come dici tu ma anche orecchie sorde. Il ciclismo è uno sport che va ascoltato, sentito con i sensi prima che con tutte le altre logiche. “Ascoltare” è la parola d’ordine (a mio parere) perchè a volte le voci più flebili del gruppo hanno molto di più da dire.
Ascolteranno 1001 firme ???
Non so, io spero di sì…